Translate

sabato 26 novembre 2011

"Angelology", recensione




Ecco una nuova recensione sul tema “angelico”, ovvero la moda del momento in fatto di romanzi urban fantasy. Ringrazio Chiara del fan club per avermi inviato il testo al fine di farne una recensione e conoscere il mio parere. Penso che tale argomento sarà anche una gradita sorpresa per Ivan e per molti di voi che si sono mostrati curiosi nei riguardi di questo romanzo che per quanto riguarda l'Italia è stato pubblicato dall’Editrice Nord. Ma eccovi la storia:



Trama:

"Evangeline ha soltanto sette anni il giorno in cui il padre la affida alle suore del Convento di Saint Rose, vicino a New York, lasciandole come unico ricordo u ciondolo a forma di lira. Da allora il convento è stato la sua casa, il luogo dove è cresciuta, dove ha preso i voti, e dove ha fato una scoperta sconvolgente: una lettera del 1944, spedita dall’ereditiera Abigail Rockefeller alla Madre Superiora, in cui viene citata una misteriosa spedizione nella Gola del Diavolo, in Bulgaria, e il ritrovamento di un cadavere perfettamente conservato. Il cadavere di un Angelo. Per Evangeline, quella lettera è il primo tassello di una storia che affonda le sue radici nella notte dei tempi: la storia degli Angeli che hanno tradito Dio e del Male che è sceso sulla Terra con un battito d’ali; la storia dei Nefilim, e creature generate dall’unione tra gli Angeli ribelli e i mortali; la storia degli Angelologi, un gruppo di studiosi e religiosi che, da generazione, si tramandano il segreto dell’esistenza dei Nefilim e combattono contro di loro una guerra secolare. E, soprattutto, la storia di quattro strumenti di origine divina e dai poteri straordinari, quattro strumenti andati perduti c eh, adesso, Evangeline ha i compito di recuperare, prima che lo facciano i Nefilim. Perché la storia degli Angelologi è anche la sua storia, e la loro missione è la sua missione. Una missione che riscriverà il destino di Evangeline e, forse, dell’umanità intera."



Recensione:

Come già a suo tempo per “Il codice da Vinci” di Daniele il Marrone, questo romanzo è stato fin da subito osannato un po’ da tutti, testate, riviste, lettori. Non soltanto: prima ancora che fosse pubblicato, la Casa Cinematografica di Will “Il Principe di Bel Air” Smith, ne ha acquistato i diritti per farne un film. Sulla carta, quindi, sembrerebbe un romanzo di quelli seri, senza frizzi & lazzi, per intenderci. Ma è davvero così? Se devo essere sincero non è che mi abbia fatto gridare al capolavoro, sebbene soddisfi una delle regole che considero basilari per chiunque voglia scrivere un romanzo di qualità letteraria: documentarsi. E in effetti tutto si potrebbe dire di “Angelology” tranne che l’autrice abbia dimenticato di leggere libri e pensare invece alle fatine, come ha fatto Allibis con il suo orrendo “Unika”. Anche lo stile è pulito, almeno tecnicamente. Il tema degli angeli è ancora vergine dal punto di vista del marketing: esistono già diversi titoli sulla stessa falsariga ma siamo a un livello indegno sia come stile, sia come storie nude e crude. Qui invece possiamo godere di una storia degna di questo nome, complessa, intrigante, caratterizzata da uno stile fluido e una buona capacità di mostrare bene le varie scene. A mio modo di vedere, però, l’autrice o gli editor hanno fatto un passo falso su diversi aspetti dell’opera: la protagonista, la caratterizzazione degli angeli cattivelli e l’eccesso di inforigurgito. Per chi è pigro e non vuole andare alla pagina inglese di Wikipedia dov'è spiegato nel dettaglio, sappiate che l'inforigurgito è un modo colloquiale per  indicare lo sfondo di una trama letteraria, il suo background, cioè le informazioni usate dall'Autore per scrivere il romanzo. Queste informazioni dovrebbero essere elegantemente intrecciate nella storia in modo tale da renderla verosimile e fluida, e quindi leggibile senza mai annoiare  

l'autrice di "Angelology", Danielle Trussoni

Partiamo dalla protagonista. Evangeline è solo una “parziale” protagonista: in realtà sembra più un personaggio fantasma che appare o scompare a seconda che l’autrice focalizzi il suo pensiero sulla documentazione, su di lei o sugli angeli (buoni o cattivi che siano). Se da un lato appare caratterizzata da una certa delineazione psicologica, dall’altro sembra più simile a un ruolo da comprimario nonostante le varie prodezze che dovrà affrontare. I Nefilim, ovvero gli esseri che discendono dall’accoppiamento tra angeli ed esseri umani, sono davvero ben descritti, ma hanno i tratti più da demoni che non da angeli decaduti. Si potrà osservare che anche Lucifero era uno degli angeli più belli prima che fosse scaraventato da Dio all’Inferno, ma il punto è che ho trovato questi esseri poco caratterizzati rispetto alla classica demonologia letteraria. A questo punto la trama “angelica” perde in qualche modo coerenza. L’unione tra angeli ed esseri umani, inoltre, aiuta certamente la trama stessa ma al contempo rende un cattivo servizio al concetto di società angelica. Primo perché esseri come gli angeli, in teoria, non dovrebbero avere sesso e quindi nessuna possibilità di procreare con esseri umani, secondo perché gli angeli appaiono molto umani e poco angeli, a partire dal loro comportamento. Vero è che siamo anni luce dal già citato “Unika” dove praticamente si descrivono gli angeli come una sorta di mio-mini-pony-con-le-ali, ma è anche vero che la caratterizzazione di personaggi così affascinanti dal punto di vista narrativo avrebbe dovuto essere più attenta. Per carità: se i difetti fossero solo questi avrei comunque decretato un bel 9 al romanzo, ma avete dimenticato la questione di inforigurgito che è davvero eccessivo. Adesso, io non so se la Trussoni abbia trascorso un casino di tempo in compagnia di suore ed ecclesiastici come si dice in giro, potrebbe tranquillamente essere un espediente di marketing come avvenne ai tempi de "Il Diario di Ellen Rimbauer, la mia vita a Rose Red", (leggi qui se non conosci il libro) uno pseudobiblia pubblicato ad hoc per attrarre il pubblico verso il mini sceneggiato di Stefano Re , “Rose Red”, peraltro molto valido


copertina de: "Il Diario di Ellen Rimbauer", di Ridley Pearson

Conoscendo le stronzate del marketing non sono mai attratto dalla biografia di un Autore, di un Regista o un Cantante perchè ogni cosa fa brodo, pur di vendere. Io preferisco focalizzare la mia attenzione sull’anima di un libro: la storia, lo stile, la caratterizzazione delle scene e alla via così. Alla fin fine, non è importante cosa faccia uno scrittore per vivere; se ha talento e tecnica scriverà un buon romanzo a prescindere da vezzi autobiografici o ambienti familiari, salvo poi trarre spunto dalla propria esistenza per dare gli ultimi tocchi a una trama. Riferimenti storici, biblici, teologia a non finire vanno bene, ma senza esagerare. Le prime 100 pagine del romanzo appaiono drasticamente noiose a causa dei tanti, eccessivi riferimenti a questo o quel tema religioso, questa o quella credenza. Inoltre il tema del puzzle letterario che fa tanto “Angeli e Demoni” non mi sa di trovata innovativa, dal punto di vista del meccanismo narrativo. Ciò rende le prime due sezioni del libro (sono quattro) noiose e avvezze a continui flashback che rischiano di disorientare il lettore, considerata la complessità della trama. Noiosa anche la sezione relativa al viaggio alla “Gola del Diavolo” nella Bulgaria del 1940: forse tagliare molti di quei passaggi avrebbe giovato a un testo che comunque conta circa 500 pagine. E un’ultima osservazione che mi ha lasciato perplesso una volta arrivato all’ultima pagina… com’è possibile che di Nefilim solo a Manhattan ne esistano migliaia senza che nessuno si sia mai accorto di nulla? Non stiamo parlando di un oscuro paese nei Carpazi orientali, ma di una città con una popolazione vasta e attiva. E gli angelologi, la setta super-segreta che appare molto simile a una sorta di Loggia P 2 religiosa è davvero non-credibile, se consideriamo che nella realtà gli stessi esorcisti,  i sacerdoti che hanno a che fare con uno dei comparti più delicati della professione, non vivono esattamente una vita da monaci tibetani. Gli angelologi ricercano uno strumento, la Lira dell’Arcangelo, per distruggerlo e rendere così più divertente la vita ai loro acerrimi nemici. Peccato però che nessuno sappia dove si trovi in circa 390 pagine su 480, e che quindi non abbia alcun senso per la storia. Anche le ultimissime pagine sono poco credibili. Non siamo ai livelli  scadenti del già citato Dan Brown che per quanto riguarda la sua produzione ha davvero esagerato (per esempio il caso della Sirenetta di Disney, che "Il Codice Da Vinci" descrive come rossa di capelli perchè chi di dovere avrebbe deciso di dare un indizio sui Templari: affermazione degna di Giacobbo!) ma poco ci manca


copertina de: "Il Codice Da Vinci", di Dan Brown

Le ultime pagine sono tirate per i capelli. Evangeline si dimostra fin troppo scaltra a capire elementi complessi, il che mi fa pensare a uno scioglimento della storia raffazzonato in fretta e furia per andare in stampa nei tempi previsti. Da questo e altri dettagli penso allora che anche questo libro sembra solo una bella operazione commerciale costruita ad hoc dal marketing e poco dalla passione. Perchè? Primo: marketing virale a go-go come se fosse un successo planetario: ricordatevi che i diritti sono stati già venduti in oltre 32 Paesi! Secondo: il fatto che il film sia già previsto per il 2013, cosa che mi fa capire come gli investimenti finanziari fatti prevedano un business plan dove la versione cinematografica è stata programmata a tavolino. Terzo: il più volte citato caso del romanzo di Dan Brown. Se ricordate, prima de "Il Codice..." Brown aveva già pubblicato "Crypto": un polpettone abbastanza scialbo. Curioso il fatto che "Il Codice Da Vinci" e quasi in contemporanea il relativo film furono ampiamente discussi, con la Chiesa che lanciava strali per non far vedere il film o leggere il romanzo. Coincidenze? Sarà, ma io comincio a pensare che questo sia un romanzo al 50% buono e per il resto operazione commerciale. E in verità me ne dispiace, perché per vari aspetti la trama è buona e lo stile dell’autrice sembra efficace. Vale quindi il caso di spendere 18 euro per questo libro? Spendeteli pure, ma solo se cercate una storia carina con un’ottima documentazione sul tema degli angeli. Se invece desiderate un romanzo equilibrato passate oltre se non volete ritrovarvi con un ottimo libro in fase di acquisto ma con un frullato letterario che cavalca l’onda della moda angelica sullo scaffale della vostra libreria. 



Massimo Valentini 



lunedì 21 novembre 2011

"Unika, la fiamma della vita", recensione




Sedici euro per 508 pagine. Dico solo questo e il fatto che le pagine siano di carta e non un PDF, che sia un Fantasy (anzi no un Fentasy  e tra poco vi dirò il perché) che l’autrice sia una sorta di fantasma, che la C.E. sia la De Agostini e bla bla bla non giustifica un prezzo che è da autentico ladrocinio. Perchè sedici euro sarebbero (forse) giustificati per le millemila pagine del classico Tolkien, per la Le Guin, per la Bradley, per Lovecraft (tranne che per l’orrenda edizione economica Mammut firmata Newton Compton, la cui carta è praticamente quella delle merendine che si comprano alla Lidl ) ma non per questo libro. Ecco, la recensione è tutta qui, ma se proprio volete sapere il perché di tale opinione cominciamo con la recensione e tanti saluti. Alla pace mentale, ovvio…

 


Trama:

“La vita tranquilla di tre ragazzi quindicenni viene sconvolta da una serie di fatti misteriosi. L'incontro con un singolare professore di teologia li mette a conoscenza dell'incredibile ragione di quanto sta accadendo: uno di loro è un angelo e non lo sa. Soprattutto, non sa di custodire segretamente nel cuore la Fiamma della Vita, una delle due entità fondamentali che consentono di governare l'universo. Ma quale dei tre ragazzi è l'angelo? Qual è la sua storia? Perché porta la Fiamma nel cuore? Mentre si rendono conto che quella che si è scatenata intorno a loro è una vera e propria caccia, vengono rapiti da due strane creature che li conducono in un mondo a parte quello di Sefira, la valle dove vivono gli angeli.”


Recensione:

Se siete di fretta vi dico subito cosa penso della trilogia di “Unika”: fa schifo. Ma schifo davvero e non scherzo. I libri, la storia, i personaggi, persino il nome dell’autrice, sempre che sia uomo, donna o qualsiasi altra cosa. Sul sito dell'autrice/ore si legge infatti la seguente fuffosa dichiarazione:


“E.J. Allibis non ha fissa dimora e vive di emozioni senza tempo tra gli orizzonti del mondo. La Fiamma della Vita, il primo atto della saga di UNIKA, è la sua opera di esordio.”

 

Si capisce lontano un miglio che è un fake. Nessuno di umano, e che abbia il cervello in ordine e non lobotomizzato dal Grande Fratello e vari Shitshow dello stesso (sub) livello, potrebbe mai credere a un Autore così fantasmatico. “Vive di emozioni” è il massimo della sciatteria e sono pronto a fare un patto con voi: se la De Agostini dovesse presentare un foto di tale Genio del Nulla Glitteroso che non sia una foto creata con Paint, vi offro caffè e brioche a tutti. Eeeh, vero che siete pochini, un centinaio, ma provate a farvi due conti. Sono uno scrittore emergente, io, cioè morto di fame, mica Follett! Uno scrittore/scrittrice che vive come uno zingaro e si nutre di emozioni fa tanto “Edward come ti lovvo perché vivo di emozioni tra gli orizzonti del mondo!” Una frase che è pura fuffa condita di nulla. E io che pensavo che solo libri come “Amore 14” fossero degni della furia ecologista degli Amici degli Alberi. Al confronto di Allibis, Melissa P è Virginia Woolf e persino Moccia acquista un’aura migliore, magari senza quel ridicolo cappellino da nerd in testa. E se non fosse abbastanza lassativa la pseudo vita di chi ha scritto tale robaccia, ecco il titolo, “Unika”, solito inno all’essere “diversamente normale” che il mercato editoriale in generale e quello italico in particolare propinano ai poveri sprovveduti che acquistano porcherie di tal fatta. Notare la “k” che fa tanto finto-glamour perché sì, perkè io sn Unika e tu nn vali un caxxo se nn 6 cm me! Allibis non può essere anglosassone. Nonostante le porcate della Meyer e di tanti scribacchini d’accatto a stelle e strisce, ciò che cola da queste pagine non è Sesso, BSDM e Droga Fentasy come quello de “La spada della Verità”, è Buonismo Zuccheroso Italico modello Pacco Pacchia. Ma insomma, chi diavolo (sic!) sarebbe Unika? Soltanto il numero due degli angeli più potenti dell’universo. Il numero uno è un tizio il cui nome è stato copiato dai Transformers degli anni ’80, il cartone, non i filmetti di Bay, che si chiama Metraton. Gli ingredienti per fare un cinepanettone catechista cartaceo da quattro soldi, commerciale al 100%, esistono tutti. Per protagonisti ragazzini come tanti ma ciascuno uniko. Ovviamente minorenni, perché un eroe di ventisei anni, magari, sarebbe taaaaanto vecchio e non piace ai ggiovani scelti come target per tale arma di distruzione neuronica. Ovviamente si fanno i cavoletti loro ma scoprono di avere grandi poteri e bla, bla, bla. Stereotipi Fentasy come se piovesse. E non è acqua, ragazzi, non è acqua. E logicamente scoprono che hanno tra le mani il destino del mondo! Qualcuno spieghi ai geni delle varie Case Editrici che il Mondo non potrebbe essere MAI salvato da ragazzini: manca l’esperienza per acquisire le necessarie conoscenze e lasciamo perdere la stronzata del fatto che si tratta di un Fantasy: visto che oggi si scopiazza a tutto spiano, che almeno si scopiazzi bene. Frodo, Gandalf, Carter, Conan, Kane, Goccia di Fiamma e tanti altri erano personaggi plausibili ed erano Fantasy. Le scemenze di tanti superscrittoroni odierni sono trash fentasy. Punto. A sedici anni puoi fare un sacco di cose: divertirti, pensare alle ragazze se sei maschietto, ai ragazzi se sei femminuccia, scoprire il tuo corpo, viaggiare, sognare, farsi una canna ogni tanto (orrore: Unika ti incenerirebbe!) leggere, andare al cinema, studiare e tanto altro. MA NON PUOI SALVARE IL MONDO. SE LO PENSI DAVVERO HAI SERIE MANCANZE MENTALI. Avere sedici anni non significa essere deficienti, ma molto giovani. Come tali si ha diritto a scoprire il mondo e a farsi le proprie idee sugli eventi. E allora perchè case discografiche, cinematografiche ed editrici li trattano come deficienti propinando loro certe porcate? Questa trilogia presenta il Nulla, non quello di Fantàsia de “La Storia Infinita”, che sarebbe migliore!, ma proprio il Nulla. Il nulla cerebrale per delineare personaggi che sono stereotipi ambulanti e aiutare i dentisti kattivi propinando zucchero e miele a tonnellate. Il tutto condito con insulti all’intelligenza degli angeli di raro primato. E a quella dei lettori, ovviamente. Le prime 60 pagine del romanzo sono gettate a casaccio solo per descrivere quanto sia bella, bona, sexy, dolce, perfetta e gnokka la protagonista. Un tripudio di doppi aggettivi per nascondere la totale assenza di uno stile almeno discreto. Leggete questi esempi:


“Dai loro occhi filtrano strali di paura che cristallizzano il gelido silenzio sceso nella stanza.”

“Indugia per qualche secondo, respirando l’emozione profonda di quell’istante carico di sentimento.”

“ai muri non aveva appeso i poster tipici dei ragazzi della sua età: nessuna rockstar, nessuna attrice, nessun campione sportivo, nessuna foto di gruppo. Solo tre stampe grandi, vivaci, spettacolari…”

“Riaprì gli occhi e si nutrì dei colori del maestoso scenario che si palesava di fronte a lei. La prima luce ha sempre qualche cosa di magico e l’effetto sembrava ancora più incantato a Sefira, la valle dove vivono gli angeli.”

“Unika adorava camminare. Le dava un senso di quiete e di contatto con il mondo che non provava quando volava o trasvolava. Si concedeva lunghe passeggiate e solo se aveva bisogno di vedere le cose dall’alto e nella loro interezza spiccava il volo, staccandosi da terra e prendendo quota nell’aria. In quei momenti saliva in cielo lasciandosi andare alla sensazione di leggerezza del corpo, per liberare lo spirito e osservare la vita da una prospettiva più ampia.”


Praticamente sembra di leggere un qualsiasi libro di Moccia in salsa fentasy dei noialtri. Per il resto si vede la ricerca di una poesia che NON esiste e soprattutto esaltazione fino al parossismo delle caratteristiche fisiche di questi perfettissimi angeli che riescono a essere antipatici fin dalle prime pagine:

“ 'Buongiorno, Metatron. Mi sto riempiendo l’anima con questa magnifica alba, prima di venire da te.' Unika inclinò la testa all’indietro e sprigionò un sospiro lungo e profondo, ricco del benessere che i suoi sensi avevano assorbito.”


Qualcuno mi spieghi cosa diavolo voglia dire questa frase. Niente. Nessuno parlerebbe così tranne forse una velina alle prove di Miss Itaglia. Il personaggio creato da Allibis è in pratica una perfetta Mary Sue (leggete qui per capire di cosa parlo). Un concentrato di specialissime qualità shakerate e zuccherate fino alla nausea per seguire la regola generale tanto cara a una certa corrente del Fentasy all’italiana, quella che recita “perché è un Fentasy ok? Gnè, gnè, gnè!”


E ancora:

“Conosceva Metatron da quando era nata, 13.411 anni prima. Lui l’aveva cresciuta e le aveva insegnato a capire la potenza della sua mente e le doti più profonde della sua anima, portandola a essere l’angelo speciale che ora tutti amavano e riconoscevano come leader naturale di Sefira: una creatura dotata di una straordinaria combinazione di intelligenza, forza e altruismo.”

Unika che mostra radiosa i propri sentimenti soavi

E già questo è un insulto all’intelligenza, angelica o umana che sia. Hai 13.411 anni e parli come una cretinoide alla Paris Hilton? Il tuo cervello è forse formato da un solo neurone che suona l’arpa? Anche la descrizione fisica sembra simile:


“I capelli lisci e biondissimi fluttuavano leggeri alle sue spalle, facendo risaltare i lineamenti dolci e armoniosi del volto…”

…Gli occhi magnetici, da cui fluiva il fuoco della sua personalità, fissavano l’orizzonte. La concentrazione le arrossava le guance, mentre la gioia per la vita e il sentimento di fiducia nell’avvenire che accendevano costantemente le sue labbra sfumavano in un’espressione contratta. Unika volava decisa ed elegante, solcando l’aria che sembrava aprirsi per farla passare. Nel suo corpo sinuoso ed energico si fondevano la sensuale autorevolezza della regina e la vitalità della guerriera….”

Unika pronta a combattere: fa paura, eh?

Ma anche no! E ancora:


“…Le iridi dell’angelo biondo scintillavano di un colore indaco opalescente e cangiante. A seconda della luce che filtravano erano più azzurre o più lilla e si dissolvevano nella corona dorata che circondava la pupilla ellittica. Yesod adorava quegli occhi. L’indaco era l’essenza del mistero e della perfezione. A volte non lo si distingue dal blu, altre lo si confonde con il viola, ma è blu e viola insieme, nella sintesi di tutte le tinte dell’arcobaleno. Un colore speciale che ha la forza di due colori. E Unika era così: intensa, determinata, energica, coraggiosa, vitale e nobile come le sfumature del blu; e dolce, seducente, enigmatica, sensibile, emotiva e profonda come le gradazioni del viola.”



Sembra di leggere il diario di Hello Kitty. Sul serio. D’accordo, le bambine di sei anni sono adorabili e credono alle favolette di questo tipo. Anch’io amavo molto Cappuccetto Rosso e odiavo il lupo Kattivo. Anche a me piacevano Cenerentola, l’amore delle tre melarance, la sirenetta mi ha fatto versare fiumi di lacrime, la piccola fiammiferaia mi ha fatto pregare per lei… Ma poi ho festeggiato il mio ottavo compleanno, cacchio. Gli occhi viola-non viola in tecnicolor sono da antologia: antologia dell’imbecillità. Più che un angelo Unika è un’idiota con le ali. E no, il Paradiso non ci fa una bella figura. Mi sa che le diavolesse sono più sexy e meno rompiballe di questa.


Una diavolessa: è molto più gnokka e intelligente di Unika

Dico sul serio: mai letto nulla di così sfacciatamente puerile, falso, NON verosimile per eccellenza in vita mia. E sì che pensavo che la Strazzulla fosse la numero uno in questo: mi ero sbagliato! Dove, dove sono l’arte del mostrare, l’uso ponderato degli aggettivi, i dialoghi brillanti ma realistici, le descrizioni potenti dei combattimenti? Dalla prima all’ultima pagina “Unika” è un minestrone zuccheroso con una protagonista che non sa di nulla, perfetto stereotipo di quelle ragazzine tutte moda & belletti che pensano di avere il mondo ai propri piedi solo perché vanno in giro con l’eyeliner di marca, la mini di D & G e i tacchi modello Gru 2011. Davvero, vorrei sapere chi sono stati gli editor, se pure hanno usato qualche ora del loro preziosissimo tempo, che hanno guardato e rivisto il testo. A prescindere dal fatto che un testo del genere sarebbe degno di essere pubblicato solo da certe case editrici a pagamento visto l’assoluta assenza di un protagonista degno di questo nome, uno stile meno ampolloso e una trama di carattere. Ecco come è descritto uno degli eroi supersbrilluccicosi di questo romanzo, Zack. Un tizio che sarebbe:



“…quello giusto, brillante, vincente in tutte le situazioni. La Natura l’aveva dotato di una prestanza fisica fuori dal comune che lo poneva sempre al centro dell’attenzione. Dovunque si trovasse, percepiva l’interesse di chi gli stava intorno, mentre gli sguardi si posavano come farfalle sul suo corpo: le sentiva sul volto, sulle spalle, sul petto. E quel peso leggero si trasformava rapido in un brivido che lo disponeva all’azione, un segnale che faceva scattare il suo grande talento: la capacità di dire la cosa giusta al momento giusto.”


Zack il brillante

Praticamente sta dicendo che a 15 anni Zack sarebbe bello come un dio, palestrato come Swartzy e fuori come un balcone, visto che vede le farfalle. E i miominipony? Quelli non li vede? No, lui è specializzato in farfallologia teoretica:



“Si alzò dalla panchina senza togliere le mani dalle tasche e rimase fermo per un lunghissimo attimo… Eccole, le farfalle. Le vedeva, le sentiva. Camminava lentamente e le sue iridi profonde guizzavano sicure da una faccia all’altra, dispensando una varietà impressionante di occhiate…”


E vediamo i dialoghi, ragazzi:


“Ciao, Zack.”
“Ciao, Jo, come ti va?” I due si batterono il pugno destro.
“No, Zack, non l’ho visto, ma so che c’è. Tutto è cominciato la mattina in cui ho avuto l’impressione che qualcosa in me e nella mia camera fosse fuori posto.”
“La sera successiva ho cosparso di farina il pavimento della stanza” continuò Jo, incurante della battuta di Zack. “All’alba, quando mi sono alzato, non ho trovato nessuna impronta, ma la farina era dappertutto… come se qualcuno ci avesse soffiato sopra.» Il ragazzo fece una breve pausa, corrugando le labbra. “La sera dopo l’ho rifatto e ho chiuso la porta con due giri di chiave. Al mattino la situazione era esattamente la stessa: farina ovunque.”
“Ieri ho messo la farina anche fuori dalla porta, in corridoio.”
“Uh?”
“Sì, l’ho sparsa sul pavimento in camera e fuori.”
“Perché?”
“Per provare a capire e… non ho capito. Stamattina la farina dentro la stanza era smossa, mentre quella fuori era intatta. Niente e nessuno si è avvicinato alla mia camera dal corridoio.”


Colombo, Maigret, Miss Marple, Dick Tracy e CSI a questi tizi gli fanno un baffo! Come se fosse normale che un tizio si svegli una mattina con la curiosa sensazione che c’è qualcosa che non va e che la propria stanza sia un tantino “strana”. Nella vita reale, di solito, chi prova queste sensazioni ricorda con occhio vacuo la serata precedente in discoteca a tentarci con le ballerine del locale, i Tequila Bum Bum scolati, la vista annebbiata e, voglio sperare, il dire all’amico meno fatto di rum e pera di guidare al posto suo e poi, tornato a casa, trascorrere la notte sul water a vomitare e scaricare l’intestino. A quelli come Zack, quando accadono certe sensazioni, è perché un angelo ha fatto capolino nella loro vita. Siamo praticamente tornati ai tempi di Kiss me Licia. “Unika” si distingue anche per altre capocciate fentasy di prima qualità. Per esempio è un vero e proprio minestrone alla “non si getta via nulla” et voilà, ecco centinaia di razze assortite per tutti i gusti:


“A Sefira tutti nascevano con sembianze umane ma, nel corso della loro esistenza, imparavano a utilizzare il potere della Metamorfosi e si dotavano dell’aspetto che preferivano. C’erano angeli che assomigliavano a uomini, altri che decidevano di vivere come animali. Ma ce n’erano anche con la fisionomia di Fate, Gnomi ed Elfi. Ognuno era libero di scegliere chi essere, come manifestarsi e per quanto tempo mantenere quella foggia. Alcuni selezionavano la propria immagine per la vita, altri cambiavano apparenza di continuo. Gli angeli più esperti erano addirittura in grado di inventarsi, disegnando la propria figura in linea con il più profondo sentire e rivelandosi come creature fantastiche, singolari e mai viste.”


Le varie razze di Sefira: non sono carine?

E tanto per non dimenticare nessuno ecco anche il drago...


“Yesod aveva deciso di essere il più valoroso dei Draghi. Il suo corpo, massiccio e muscoloso, era guidato da una mente vivace e saggia, illuminata da uno sterminato senso di responsabilità e giustizia. Aveva gli occhi e le ali di un’aquila reale, per vedere lontano e per volare in alto, dove nessuno sarebbe mai riuscito ad arrivare.”


Sembra la tagline di Buzz Lightyear: “Verso l’infinito e oltre”! E che dire del villain del romanzo, Ophidiel? Un tizio che il Bono e Bravixximo Metatron avrebbe scaraventato in una foresta, peraltro vicinissima alla città di Sefira, il cui potere principale è quello di trarre energia proprio dall’ambiente, dalle foreste, dai mari, dagli alberi. Come dire: scaglio il mio nemico che trae energia dalle acque sull’Atlantico. Non sia mai, poverino, che dovesse farne a meno? Ma dico io, sei l’angelo numero uno al mondo, er mejo der mejo dell’universo, sei saggio come nessuno (tranne Dio) e sei talmente deficiente che per liberarti del tuo acerrimo rivale lo scagli proprio dove sono più elevate le possibilità che rigeneri i propri poteri? Anche questa porc romanzo, però, si concede un attimo di sexy/pudica/vedo-non-vedo palpatina sessuale. Di carattere zoofilo… Infatti il drago trova la sbrilluccicosa e stupida protagonista moooolto sexy:


“Yesod era felice di stare con Unika. Era la creatura più bella e speciale che avesse mai incontrato. Il suo aspetto armonioso, elegante e sensuale lo lasciava sempre senza fiato.”


Vai a scoprire che dopo gli elfi gay della Strazzulla adesso il Fentasy d’accatto propinerà ai poveri incauti anche l’accoppiamento tra angeli e draghi? E io, meschino, che pensavo che il sesso degli angeli fosse come fantasticare sulla ragionevole onestà di un qualsiasi politico nostrano: vana speranza. Devo uscire più spesso, a quanto pare. Arrivati a questo punto vi dico la pura e semplice verità. Sono riuscito a leggere questo romanzo fino alla fine, rileggerlo con occhi aperti e il profondo del mio essere svuotato dallo stupore. Mai avrei creduto all’esistenza di qualcuno che potesse osare tanto. Adesso so che il limite all’imbecillità narrativa umana è davvero cosa vecchia: superato da tempo, anzi da 13.411 anni per essere precisi. Ultima perla da lobotomizzati, vi giuro che è l’ultima:


“Gli occhi, accarezzati dall’aria, cominciarono a lacrimare, mentre i capelli sciolti svolazzavano morbidi e vaporosi. Era una sensazione di libertà e naturalezza che non provava da anni. Si sentiva sospesa nel vuoto, in assenza completa di resistenza gravitazionale. Strinse le gambe intorno a Yesod e aprì le braccia, come una bambina che sogna di volare.”


E qui lo ridico. Avrai anche 13.411 anni, sarai il secondo angelo per potenza, il primo per bellezza, ma sei anche il primo per bimbomikiaggine! Pensavo che gli angeli fossero sì buoni ma anche saggi. Il che significa intelligenti. Molto intelligenti. E questa scema che fa? Allarga le braccine bellixxime, spalanka gli occhioni bellixximi, mostra la sua pelle biankixxima e ride come una deficiente come Kate a cavallo del suo Di Caprio/Yesod? Comincio a pensare che la Meyer, alla fine, abbia scritto merd storielle mediocri ma almeno leggibili. Almeno i film sono girati benino e la regista ha fatto un discreto lavoro. Ma di "Unika" cosa dovrei pensare? Un attimo, però. Ricordate quando ho detto che persino Moccia, senza il suo cappellino dono-della-mamma-ma-senza-l’elica, scrive meglio della Allibis? Adesso comincio a pensare un’altra cosa. Vista che la deficienza tipica dei protagonisti dei romanzi del Sommo, la sbrilluccicosa e inesistente realtà delle sue storie e il mondo dipinto come uno stecco di zucchero filato sembrano praticamente identiche ai loro simili di "Unika" comincio a pensare che Allibis potrebbe essere Moccia o almeno una sua parente, che so, una sorella. Potrebbe anche essere che "Unika" è in realtà stato partorito da un computer programmato a zucchero e carta velina. E non so quale sarebbe la scelta preferibile: se chi distrugge l'arte perchè è solo un aggeggio meccanico e quindi a-cosciente o chi la distrugge perchè pretende che uno scritto da Elementari sia un Romanzo vero.

 


Massimo Valentini









sabato 12 novembre 2011

Narrativa Fantastica: vediamoci chiaro



Salve, ragazzi. Oggi parleremo di cosa significhi scrivere, di come capire la differenza tra i vari generi letterari, della narrativa di genere e della literary fiction. Il termine quasi alchemico Narrativa di Genere è usato da molti, spesso a sproposito, per descrivere un calderone di manoscritti tra i più diversi tra loro. Solitamente la si confonde con la literary fiction, un tipo di narrativa che esercita su chi legge il mero piacere di leggere, al di là del significato della storia stessa. Per questo genere di narrativa ciò che è importante è la forma, lo stile, anche a scapito della trama stessa, e quindi potrà capitare di leggere una storia senza né capo né coda ma che, se scritta in modo perfetto, sarà sufficiente a persuadere chi legge ad aver fatto un buon acquisto. Al contrario, con Narrativa di Genere designiamo un modo di scrivere che bada non solo a raccontare storie ma anche a come scriverle. La forma, il vestito per così dire, non è più importante della modella che lo indossa, deve sempre tendere allo scopo. “Scrivere bene” in narrativa di genere significa adottare uno stile che non abbia fronzoli estetici ma che sia delineato dall’Estetica nuda e cruda. Dobbiamo considerare che quando parliamo di narrativa sappiamo che il più delle volte le storie che presentiamo NON esistono, le stiamo inventando. Letteralmente. Questo non significa che debbano essere poco verosimili a prescindere dal genere della nostra storia, sia essa Fantasy, Fantascienza o una comune love story, ma dobbiamo rispettare il lettore. Per il lettore, in pratica, la nostra storia dovrà essere credibile, ossia attivare quella che si chiama “sospensione dell’incredulità”, ovvero la sensazione di poter credere che una nave stellare possa realmente solcare l’infinito dello spazio-tempo a velocità superiori a quella della luce, o che draghi, elfi, fate e altri esseri leggendari esistano davvero, almeno fino a quando leggerà quel romanzo. Adesso fate molta attenzione perché la differenza tra literary fiction e narrativa di genere è sottile quanto quella che differenzia un capolavoro da una sua copia fatta a regola d’arte. Come si fa a capire che un romanzo è di genere? Molto semplice: se uno legge il vostro libro ed esclama “Wow! Che bel romanzo!” NON E’ di genere perché appare chiaro che chi legge ha capito che gli elfi di cui parlate sono esseri di fantasia e non sono potenzialmente realistici. Ha solo letto un libro come un altro! La narrativa di genere, invece, è vera e propria realtà virtuale su carta. Ecco la differenza tra un vero romanzo efficace e uno scritto solo con la tecnica, magari perfetta, ma NON artistica. Lo scrittore che è anche un artista, di solito (non sempre) è capace di scardinare chi legge dal mondo reale per gettarlo in pasto al mondo da lui inventato grazie alla perfezione narrativa esercitata allo stesso tempo dal suo talento e dalla sua tecnica. Di conseguenza il fine della narrativa di genere non è suscitare piacere ma di coinvolgere il lettore come se la storia fosse vera.

Un bel romanzo è come una bella donna: conta più del vestito

Quando ho dato elementi di “Primus, l’uomo che sognava di vivere” in mano ad alcune ragazze del comitato ho pregato con tutta l’anima che non lo leggessero accomodate sulla poltrona preferita, con il bicchiere di aranciata in mano e l’espressione beata sulle labbra, ma che fossero state tese, attratte dalla trama, nauseate da certe descrizioni, sedotte da altre, persuase a proseguire a leggere perché dovevano, non perché volevano! Non posso svelarvi la trama in questa sede ma vi dirò che se avessi scritto di una Terra dominata da una razza di alieni sanguinari la reazione delle persone non dovrebbe essere rilassata, ma provare ribrezzo, paura, o altre sensazioni. Un libro di genere è un romanzo che fa vivere al lettore le stesse emozioni dei protagonisti della storia e non catalizza la sua attenzione solo sullo stile o sulle belle parole. Stile e belle parole, insomma, sono secondarie: ciò che conta è la sensazione di condivisione. Diversamente quel romanzo non sarà di genere ma di literary fiction e quindi non sarebbe un buon romanzo.


Narrativa fantastica

La narrativa di genere è molto vasta e capita che gli editori confondano le acque pubblicando opere weird spacciandole per  fantasy per ragioni di mercato, marketing (oggi il fantasy va di moda, ricordate?) o semplice… ignoranza! Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Se ambiento una storia di omicidi su un pianeta alieno quel racconto o romanzo sarà un giallo con un’ambientazione SF, ma sarà sempre e comunque un giallo. Certo, uno scrittore può scrivere quel che gli pare, ma dev’essere onesto con il lettore: se ha scritto una commedia romantica così deve presentarla, non come un libro di fantascienza solo perché il libro è ambientato nel 2194. Spesso molti confondono anche i sottogeneri con i generi principali. Ad esempio lo “Steampunk” è un sottogenere della SF classica e identifica una storia dove la tecnologia, di solito, è fondata sul vapore. Ciò significa che robot, astronavi, treni, automobili funzionano grazie a ingranaggi azionati da questa forma di energia e non da altre. Ciò vale anche per la cinematografia. Esempi di film steampunk è ad esempio, “Wild, Wild West” con Will Smith. “Cyberpunk” è anch’esso un sottogenere della SF, ma identifica una storia il cui ingrediente più importante è la tecnologia virtuale o cibernetica. “Johnny Mnemonic”, con Keanu Reeves, ne è un tipico esponente. Come dicevo prima Fantastico e Fantasy sono spesso mescolati arbitrariamente, specie qui da noi (sic!). Il mio ex Editore affermava che Fantasy sarebbe la versione anglosassone di Fantastico quando invece Fantasy identifica qualsiasi romanzo dove la tecnologia è quella tipica del Medio Evo (archi, frecce, spade, ecc) e la “fauna” composta da quegli esseri mitologici dello stesso periodo storico (e quindi unicorni, draghi, elfi, trolls, streghe ). Il fantastico puro, invece, è caratterizzato dall’elemento Weird che dev’essere surreale e quindi non logico se rapportato alla trama stessa. Proprio il Fantastico (e per altri motivi la Fantascienza) è un genere quanto mai cosmopolita perché può davvero contaminare generi molto lontani tra loro. Nel complesso, la narrativa fantastica di qualità è quella narrativa di genere che racconta storie caratterizzate da uno o più dettagli fantastici. Da "La donna del falco" a "La Guerra dei Mondi", da "Ubik" a "L’esorcista", da "2001 Odissea nello spazio" a "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" Fantasy, fantascienza e horror sono tutti generi che fanno parte del Fantastico. Per usare un processo di classificazione più schematico potremmo dire che un libro di fantascienza è un romanzo che presenta elementi spiegabili grazie alla tecnologia, quello fantasy presenta elementi che non possono essere spiegati in maniera scientifica mentre il genere horror descrive eventi e ambientazioni usati allo scopo di spaventare il lettore, indipendentemente da come possano essere spiegati. "Colui che sussurrava nelle tenebre", un racconto di H.P.L. che vede il protagonista incontrare esseri fungoidi provenienti da un oscuro pianeta del sistema Solare, usa elementi di fantascienza tipici (alieni, trasferimenti cerebrali, viaggi nello spazio) ma il contesto generale, l’ambientazione è squisitamente spaventosa. Parliamo allora di un racconto horror. Una storia d’amore tra due ragazzi ambientata ai giorni nostri non è di per sé fantasy, neanche se entrambi a un certo punto della storia incontrano una città abitata da elfi. Questo perché l’elemento fantastico non è determinante a meno che la storia stessa non si svolga tra le strade della città elfica. L’elemento fantastico deve allora essere determinante. Queste sono le regole generali, ovviamente presentate in modo schematico, ma non si discutono. Quando possiamo dire che un romanzo è anche un brutto libro? Beh, in definitiva non è tale se infrange questa o quella regola, ma quando non corrisponde alle regole tipiche dell’Estetica, disciplina di cui abbiamo già parlato.


Scrivere solo quello che si conosce

Oggi sono di moda il Fantasy e l’Urban Fantasy di solito associati a vampiri, demoni e mostriciattoli vari, specie qui da noi. E nel caso del Fantasy sono cavoli amari perché esso non consente a uno scrittore di toccare con mano un vero Elfo per capire la differenza con una persona normale. A differenza della SF dove, pur non esistendo cyborg alla Terminator può però contare su studi più o meno accurati per raggiungere il proprio fine, il Fantasy rischia di far capitolare il lettore esperto facendolo incavolare come una bestia per aver speso 18 euro per un libraccio. Lo scrittore, allora, deve convincere chi legge che gli elfi esistono. Come fare? Calando gli Elfi in un mondo palpabile, tanto che il lettore lo possa accettare come Realtà. È allora necessario che l’autore sappia di cosa sta parlando. Per un Fantasy di solito si parte da un contesto medievale da cui trarre notizie, tecniche di guerra, tattiche militari, organizzazione sociale; tutti elementi che gli serviranno per costruire quel mondo fittizio che servirà a sua volta da sfondo per la storia vera e propria. Ecco perché la solita scusa italiota che recita “Ma è solo un Fantasy!” non vuol dire un’emerita cippa: la verosimiglianza è sempre fondamentale se poi vogliamo spacciare il nostro libro per un capolavoro e non per la solita serie di porcate (Troisi, Strazzulla, i romanzi sui pirati di Evangelisti, ecc).

Per creare Solomon Kane, Howard studiò Storia, Geografia e leggende  

Il segreto è come sempre la documentazione. Vorrei ricordare qui tre esempi. Tolkien, per scrivere "Il Signore degli Anelli", studiò per anni le varie mitologie nordiche al fine di usarne anche i nomi per identificare gli abitanti dei suoi mondi di carta. Lo stesso lavoro era tipico di un altro grande, stavolta della SF, come fu il caso di "Cadetti dello Spazio" di Robert Heinlein che lavorò per giorni alla soluzione di un’equazione importante per determinare la rotta di un’astronave, e questo per una sola frase del romanzo. Finendo con l’horror, cosa dire di Lovecraft, il quale, per "Le Montagne della Follia" ambientato in Antartide, studiò con attenzione progetti, organizzazione, scoperte delle più importanti spedizioni scientifiche che avessero studiato quella terra desolata? Ecco perché scrivere un vero romanzo è qualcosa di complesso per cui non basta rifare il verso ai soliti noti, ma serve talento, studio, dedizione, tempo e capacità. Parliamoci chiaro: è anche una questione di rispetto verso il lettore che non deve pentirsi di aver speso 18 euro per un libro, ma d’altra parte nessuno, tranne certi editor italiani dalla faccia di bronzo, ha mai detto che scrivere a un certo livello sia facile e alla portata di tutti. Non è un mestiere semplice quello dello scrittore.


Cosa gettare via?

Quando vogliamo scrivere una storia con questi criteri, la prima cosa da fare è economizzare per la semplice ragione che tutto ciò che allontana il lettore dalla storia non ha ragione di esistere. Parole, scene, personaggi e ogni altro elemento devono essere presenti solo se servono, non perché sono “aulici” o bellissimi. È questa la ragione di fondo per la quale si raccomanda l’uso parsimonioso di aggettivi e avverbi: il più delle volte sono inutili; ricordate che stiamo parlando di Narrativa di Genere non di Literay fiction e quindi frasi tipo. “Cadde violentemente!” sono degne di un principiante o, nel caso di uno Scrittore molto noto, di un imbecille della parola scritta (e della relativa ignoranza del suo editor, è ovvio). Cadere, grazie alla gravità, non è certamente una bella esperienza, specie se si cade da qualche metro di altezza, vi pare? Allora a che serve quel “violentemente!”? Provate a leggere un romanzaccio italico a caso e vedrete quanti avverbi troverete.


Scrivere con uno stile semplice

Se raccontate una storia il lettore deve capire quel che narrate e quindi dovrete essere semplici ma attenzione: la semplicità fa parte del come, non della storia che dal canto suo non ha nessuna necessità di essere semplice. Da qui nasce la difficoltà perché può essere necessario affrontare argomenti complessi, ma non dev’essere una scusa per rendere complesso anche lo stile. Tra una prosa raffinata ma per pochi e un insegnante bravissimo che spiega ricorrendo a paroloni non c’è alcuna differenza: il Sapere dev’essere accessibile da tutti coloro che si rivolgono a esso. La narrativa di genere è popolare e lo scrittore di genere è felice che le sue storie siano apprezzabili sia dal professore sia dal bambino di dieci anni. Tra l’altro, detto tra noi, è facile scrivere raffinato, lo è di meno scrivere semplice.


Per "Nexius" ho studiato anche esseri preistorici

So di essere stato schematico, ma il mio intento con questo post era di presentarvi le regole principali dello scrivere bene, non di fare un manuale. Questo post serve in pratica per mostrarvi alcuni dei principi base che sto seguendo al momento per quanto riguarda la mia Seconda Generazione e per far capire che scrivere un romanzo o un racconto di qualità servono attenzione, talento, esperienza e precisione perché quella storia sia efficace, ovvero coinvolga chi la legge al punto giusto da non fargli rimpiangere di aver acquistato il nostro libro. Io scrivo per sublimare me stesso e il mio essere, ma ciò non significa che le regole debbano essere gettare ai pesci né che debba riconoscere come opere letterarie certe porcate presentate come il capolavoro del momento. I veri capolavori non sono i libri del momento: sono per sempre, concetto in antitesi con i vari casi letterari odierni. Quando leggete una mia recensione sappiate che non è oro colato, ma una presentazione ponderata di un tizio che sulla parola scritta sputa sangue, sudore, follia e (spero) talento e competenza. Di conseguenza pretende, perché lo pretende da se stesso, che ciò che recensisce sia un libro valido, bello, efficace a prescindere da quante copie abbia venduto, di come sia ganza la copertina, gnocca la protagonista, se abbia vinto lo “Strega”, il “Campiello”, se la storia sia amorale o buonista, grondi sangue o faccia leggere le nuove generazioni che ne dicono un gran bene. La Rete abbonda di siti che recensiscono questo o quel carciofo-lavoro del momento. Hanno motivo di esistere? Certamente. Qui, però, piccolo blog o sito della Madonna che sia, si parla cercando di fare chiarezza tra libri validi e quelli da spiaggia, tra quelli carini e le storielle trash che sempre più spesso sono pubblicate. La qualità è il solo motivo dell’esistenza di “Gabbiani delle Stelle”. Capire e far capire a chi mi segue se i libri di cui parliamo sono degni di essere chiamati opere letterarie o sono pubblicati solo per far cassa. Parlo di questo a chi vuole ascoltare, fan o semplice visitatore con un cervello per pensare e la passione per i bei libri, quelli che si scrivono anche oggi, quelli validi ed efficaci. Tutti gli altri possono tranquillamente andare altrove.


Massimo Valentini



















lunedì 7 novembre 2011

I miei nuovi romanzi








Amici e amiche, oggi desidero informarvi di alcune novità e, perché no? anche indiscrezioni sulla mia attuale produzione letteraria. Come sapete in questi mesi, oltre alla stesura del Saggio sono stato impegnato con quella del terzo romanzo della mia nuova generazione il cui titolo provvisorio è “Sensum”. Si tratta di un romanzo complesso che parte da “Primus” ma che, in realtà, evidenzia una differenza significativa sia dell’ambientazione che dei protagonisti. All’inizio ero ingenuamente persuaso che potessi scriverlo in un anno e mezzo anche considerando l’intrinseca complessità della storia stessa, ma ciò non ha fatto i conti con le diverse evoluzioni della trama. In effetti, credo proprio che potrebbe essere l'ultimo della serie dei quattro libri. Questa Seconda Generazione è davvero complessa perchè tutti e quattro i libri sono/saranno diversissimi tra loro sia come stile che come genere. Se “Primus, l’uomo che sognava di vivere” (al momento in valutazione) potrebbe essere etichettato come New Weird distopico (ma con alcuni elementi tipici della Bizzarro Fiction) “Sensum” presenta caratteristiche Noir, SF; Fantasy, Weird contemporaneamente sia come ambientazione che come storia.  Quasi quasi ricordo con affetto i tempi in cui scrivevo solo racconti.


La Seconda Generazione:

Lasciate che vi rinfreschi la memoria sui quattro romanzi:

1... "I Segugi di Newton" (SF Soft, 383 p naked, 450/500 una volta pubblicato, finito e inedito. Al momento MAI PROPOSTO) 

2... "Primus, l'uomo che sognava di vivere" ( New Weird/Distopico/Bizzarro Fiction, 283 p naked, 350 una volta pubblicato, inedito, in corso di valutazione.)

3... "Sensum" ( Genere: ?, Al momento studio di atmosfera, pag 121, inedito)

4... "Nexius" (Genere Heroic Fantasy/SF, nuovo)

“Sensum”

La stesura di questo romanzo è arrivata fino a pagina 121. A dire la verità ha beneficiato di due stesure di cui una preliminare e la seconda indicativa dell’aspetto definitivo. Sono state necessarie molte ricerche e un complesso lavoro di catalogazione per affinare una trama che presentasse un certo grado di innovazione. L’idea centrale è filosofica (come già quella di "Primus") ma è stata affrontata a vari livelli perché le possibili interpretazione di questo testo sono davvero tante. Nonostante la sua notevole complessità il romanzo doveva presentare un’estrema scorrevolezza; A livello tecnico credo di esserci riuscito. A livello empatico, e con questo intendo il grado di soddisfazione di un ipotetico lettore, vedremo, anche perché niente di questo libro è mai arrivato agli occhi di nessuna ragazza del comitato, come poi è mia abitudine per i libri in itinere. Ho deciso di terminare il capitolo sesto e lasciare aperto il romanzo per non rischiare di rendere un cattivo servizio alla trama che si è rivelata delicata. Al momento è uno studio di atmosfera, un testo altamente sperimentale e per ragioni molto valide. Da un lato desidero che sia ancora più efficace di "Primus", dall'altro la trama è talmente avanzata da richiedere uno stile decisamente nuovo. Serve quindi un altro lavoro che possa far evolvere dolcemente il mio stile con una trama più semplice a livello di concetto. E considerato che la dolce Althaira è una musa capricciosa, ho deciso di fare come vuole lei.

Il vero Heroic Fantasy

Nexius

“Nexius” è il titolo del famoso romanzo “Quattro” di cui finora sono esistite poche pagine scritte a mano. Come già vi dissi diversi millenni fa, sarà il mio primo Heroic Fantasy degno di questo nome se escludiamo quella gothic novel che è “Il Cigno”, ma caratterizzato da un fine più ambizioso; fare da laboratorio creativo per lo stile di "Sensum" e allo stesso tempo essere un romanzo indipendente. Pertanto non dovrà essere noioso, astruso, e autobiografico ma efficace come una lama affilata. Attenzione: non sarà il solito Heroic Fantasy alla Tolkien, ma qualcosa di nuovo con soluzioni, storia, personaggi e stile assai diversi da quelli scadenti di oggi. Quindi niente elfi, streghe, druidi, ninfe, sirene, arpie, lamie, fatine, draghi, cavalieri e soavi principesse. Per delineare al meglio gli esseri che serviranno da “fauna” ho dovuto ricorrere alla CGI mentre per il protagonista ho fatto molta attenzione a caratterizzarlo in modo credibile (Heroic Fantasy o meno, un romanzo deve fare della credibilità la sua arma principale, altrimenti il principio della sospensione dell'incredulità va a farsi benedire...) Quello che mi serviva è un protagonista che potrebbe davvero esistere nella realtà: fantasy non significa favoletta per bambini, mai! Lo stile è potente, rapido ed efficace. Per far questo, il mostrare è preferito al raccontare. “Nexius” sarà dunque un romanzo con personaggi credibili che si trovano a vivere in un mondo che per diversi aspetti ricorda quelli della Le Guin e di Robert E. Howard ma facente comunque parte del presente. Per far questo ho passato al setaccio e fatto a pezzi (letteralmente) qualcosa come 149 romanzi di qualità. Di questi solo uno era italiano: "Stella di Gondwana", di Gianluigi Zuddas. Questo lavoraccio è costato circa sei mesi (spesso di notte...) Se vuoi scrivere qualcosa di veramente valido, se vuoi provarci seriamente, leggere tutto quello che ti capita a tiro senza badare alla qualità è una perdita di tempo: devi leggere il meglio. Solo in questo modo potrai capire se le tue idee funzionano e se sono innovative. Se ti accorgi che altri hanno già scritto di certe cose sei in tempo a scrivere in modo diverso. La storia deve sempre essere innovativa e non una copia di mille altri racconti. Il materiale finora esistente è stato da me trasferito dalla carta (i miei appunti preliminari sono sempre su carta) al pc e rivisto. Gli esseri principali, Shapo e Felini, sono stati studiati con programmi di animazione al computer per stabilirne sistema muscolare e capacità. "Nexius" presenta una spada come arma principale del protagonista, è vero, ma non è la tipica spada magica di Luce o di Tenebra che sia. E neanche quella Laser alla Star Wars. Si tratta di un'arma elegante, da usare seguendo un codice di combattimento che ho delineato con attenzione. Niente dev'essere lasciato al caso: ecco il bello di un romanzo del genere. 

Eroi gnokki per un Fantasy sono da scartare. Niente favole, prego!


 Codici di Combattimento

Tutti i personaggi di “Nexius” sono stati tratteggiati con precisione. Ciascuno di essi presenta il proprio carattere, il proprio modo di esprimersi, la propria anima. Ho studiato la teoria delle arti marziali coreane e cinesi raffrontandole con la caratteristica filosofia tibetana. Queste nozioni le ho usate come base per evolvere una tecnica fondata sia sulla meditazione che sul combattimento, necessaria per usare al meglio la bellissima arma del protagonista. E' stato inoltre necessario stilare schizzi preparatori a mano libera di armi e posizioni di assalto e difesa. Questo sarà il libro della Rabbia, dell’Odio, della Guerra, della Tristezza e della Vendetta. Qui il politically correct non esiste ma è stato sostituito dal sangue, dalla carne e dalle emozioni realistiche.

 
Fanciulle indifese e abili guerriere? No, ragazzi, noi vogliamo Fantasy, mica Collodi!


Un romanzo che non è fine a se stesso

La prima stesura ufficiale è iniziata in questi giorni. Al momento le prime pagine sono 14 e vi assicuro che sono molto efficaci. Se le cose andranno come spero è possibile che potrei scrivere, almeno in certi periodi, sia questo che “Sensum” contemporaneamente. Ricordate che questo nuovo libro servirà da modello per quelle soluzioni valide per delineare l’altro, ma questo non vuol dire che sarà un testo di transizione: sarà invece un romanzo reale. Non posso dirvi altro, per ora, ma come al solito vi aggiornerò man mano che sarà necessario. Col prossimo post ho intenzione di delineare alcune semplici regole e risultati che ho seguito per scrivere questi libri. Spero in tal modo di farvi capire cosa si intenda con i vari generi di narrativa (che con questi romanzi sto cercando di aggirare…) e quali caratteristiche sono realmente efficaci perché una storia valga la composizione e, non ultimo, il prezzo di vendita. Perché uno scrittore deve sempre cercare di scrivere al meglio per soddisfare sia se stesso sia chi decide di acquistare il suo romanzo. Una questione di fiducia e soddisfazione...



Massimo Valentini