La recensione di oggi riguarda uno dei classici sia delle narrativa fantascientifica che della cinematografia che ha visto diverse interpretazioni dello stesso concetto, ovvero l'incontro tra esseri umani e un organismo alieno ostile. Parliamo di “Who Goes There?” letteralmente, “Chi va là?”, di John Campbell, uno dei migliori autori di Fantascienza degli anni Cinquanta. Si tratta di un romanzo breve che ebbe due trasposizioni cinematografiche. La prima fu "La cosa da un altro mondo" di Howard Hawks, e la seconda fu "La Cosa", di John Carpenter, nel 1982. In realtà esiste anche un altro film ispirato al soggetto, il prequel "The Thing", del 2011, ma di questo ne parleremo in altra occasione. Per ragioni di economia di spazio ho infatti deciso di dividere questo articolo in due puntate in modo da esaminare bene sia il romanzo sia le sue versioni cinematografiche, e dare quindi a voi la possibilità di discutere in modo esauriente dei differenti aspetti della trama. Ma andiamo con ordine partendo dal romanzo. Campbell scrisse il suo “Who Goes There?” nel 1938, facendo uso di un pseudonimo, quello di Don A. Stuart. Perché? Per il semplice motivo che lui era già noto come scrittore di Space Opera, un genere fantascientifico abbastanza fracassone capace di storie che potevano andar bene per i pulp magazine alla “Astounding Stories” e roba simile. Ma per i romanzi di migliore qualità, ossia per quella che anche all’epoca era considerata Narrativa di serie A, usava appunto uno pseudonimo.
John W. Campbell J.R. |
La trama è abbastanza semplice: un team di scienziati al Polo Sud trova una nave aliena sepolta da milioni di anni nel ghiaccio. Nel tentativo di liberarla dalla calotta usano bombe incendiarie causando così la distruzione del prezioso reperto. Ma qualcosa si è salvato della nave: il suo pilota, un essere che è rimasto sepolto nel ghiaccio dall’aspetto mostruoso che evidentemente era riuscito a uscire dal velivolo o ne era stato espulso in fase di atterraggio. Gli scienziati portano l’alieno alla propria base con l’intento di eseguire l’autopsia al più presto possibile. Purtroppo per loro, l’essere non solo non è morto, ma è in grado di sopravvivere apparentemente per sempre, risvegliarsi e fagocitare altri organismi assumendone al tempo stesso la forma. Non solo: è anche in grado di facoltà telepatiche che gli consentono, letteralmente, di soggiogare le proprie vittime con una certa facilità. Lo stile del romanzo è molto moderno e le azioni sono veloci ed efficaci. Campbell non perde tempo a descrivere l’aspetto dei personaggi che in questo libro appaiono come ombre, manichini che si agitano sullo sfondo il cui solo protagonista è proprio la Cosa. Uno degli aspetti che più mi è piaciuto dei personaggi di questo libro è che nessuno si comporta da idiota, come è invece si è soliti fare in moltissimi film horror o di SF, “Alien”, in primis. Gli scienziati descritti dall’Autore sono individui intelligenti e lucidi e, proprio perché ricercatori, sanno benissimo che il solo modo per combattere l’orrendo nemico non è quello di diventare isterici o perdere il controllo, ma di agire in modo coordinato. Anche il loro nemico, la Cosa, è un essere intelligente e lo dimostra speso e volentieri. Si tratta della classica lotta senza esclusione di colpi perché è in gioco non solo la vita degli umani ma del mondo. Ecco un dialogo significativo che, molti anni dopo, fu praticamente riadattato da Carpenter per la sua versione cinematografica del romanzo. Si tratta del dialogo che vede Blair, il medico della base, sezionare la prima vittima del mostro, uno dei cani da slitta di nome Charnauk”:
“Ma cosa avrebbe voluto fare, secondo te?”
“Non so, controllare il nostro mondo, immagino.”
“Così, da solo?” ansimò Connant. “Diventare un dittatore solitario?”
“No.” Blair scosse il capo. Il bisturi con il quale stava giocherellando cadde; si chinò a raccoglierlo, e il suo volto rimase nascosto, mentre parlava. “Sarebbe diventato la popolazione del mondo.”
“Diventato… avrebbe popolato il mondo? Si riproduce asessualmente?”
Blair scosse ancora il capo e deglutì. “Non… non ne ha bisogno. Pesava quaranta chili. Charnauk ne pesava circa quarantatre. Sarebbe diventato Charnauk, e gli sarebbero rimasti ancora quaranta chili per diventare Jack, per esempio, o Chinook. Può imitare qualunque cosa… cioè, può diventare qualunque cosa. Se avesse raggiunto l’oceano antartico, sarebbe diventato una foca, o magari due foche. E le foche avrebbero potuto aggredire un’orca, e diventare orche, oppure un branco di foche. O forse avrebbe divorato un albatros, una procellaria, e sarebbe arrivato a volo all’America meridionale.”
Norris bestemmiò sottovoce.
“E ogni volta che avesse digerito qualcosa e l’avesse imitata…”
“Avrebbe avuto a disposizione la sua massa originaria, per ricominciare,” terminò Blair. “Niente potrebbe ucciderlo. Non ha nemici perché diventa quello che vuole diventare. Se una orca l’avesse aggredito, sarebbe diventato un’orca. Se fosse stato un albatros, e un’aquila l’avesse attaccato, sarebbe diventato un’aquila.”
Come ho già detto, Campbell seguì la regola che anch’io vado predicando da un po’ di tempo: usare solo il necessario per la storia tagliando scene ed elementi superflui in modo da rendere la storia il più possibile scorrevole ed efficace. I personaggi di questo romanzo non sono molto approfonditi e solo il clima del luogo è descritto con una certa enfasi, ma in modo calcolato: Campbell usa il fattore climatico come espediente per segnalare al lettore che la base degli umani è praticamente isolata e che dovranno cavarsela da soli. Davvero un altro mondo rispetto alla paccottiglia di romanzetti Horror che spopolano da noi, dove l’inforigurgito la fa da padrone rendendo noiosa la fruizione delle storie. E stiamo parlando di un romanzo del 1938… Trattandosi di un classico posso anche rivelarvi come finisce: gli scienziati riescono a distruggere la Cosa e esaminano la navetta che l’essere aveva tentato di costruire per sfuggire ai suoi nemici. Campbell inoltre persegue lo schema dello “Show don’t tell” e si vede, perché le descrizioni delle scene, delle aggressioni del mostro e delle reazioni degli umani sono da cardiopalma. Intendiamoci: “Who Goes There?” non è certo un libro perfetto perché, ad esempio, l’Autore avrebbe potuto certamente dedicare qualche paragrafo a caratterizzare meglio i personaggi in modo da non farli sembrare tutti uguali, però la narrazione è fluida ed efficace e se fosse pubblicata oggi sarebbe un’opera molto gradevole.
“Scarface”, “Red River” e altre classiche pellicole degli anni ’50 sono solo alcuni dei lavori di Hawks che tredici anni dopo la pubblicazione di “Who Goes There?” decise di trarne un film con il titolo “La cosa da un altro mondo”. Come spesso accade, il film ha poco in comune con il romanzo e molte differenze. Prima di tutto l’aspetto politico, e quindi la nevrosi dell’invasione sovietica, paura tipica del cittadino medio americano che vedeva ogni nuovo giorno con il rischio di trovarsi l’Armata Rossa a marciare a pochi passi dal giardino di casa, e che convinse il regista a fornire una potente connotazione propagandistica alla pellicola. Sul piano della trama, la “Cosa” diventa un essere dalle caratteristiche vegetali assai inquietanti, ma perde la possibilità di imitare le altre forme viventi. Sebbene sia molto intelligente non divora le proprie vittime, le uccide soltanto. L'alieno vuole solo sfuggire ai suoi persecutori e per farlo adotta ogni mezzo a propria disposizione. Uno dei motivi per cui Hawks decise di cambiare carattere e aspetto della Cosa furono i mezzi tecnologici a disposizone dell’industria cinematografica del periodo.
Sarebbe stato impossibile ricreare un alieno in grado di cambiare forma come quello descritto da Campbell e l’esigenza di non rischiare scarsi incassi convinse Lee Greenway, l’esperto di effetti speciali del film, a realizzare 18 differenti tipi di “Cosa” per soddisfare le pretese del regista. Non solo: l’attore che impersonava il mostro, James Arness, dovette girare vestito da alieno per Los Angeles ogni volta con un make-up diverso, fino a quando le reazioni della gente diventarono abbastanza spaventate da convincere il regista del risultato. Una delle differenze del film con il romanzo (e con la versione di Carpenter) è il fatto che la base artica è comandata dai militari e non è una installazione civile. Come ospite anche un giornalista, descritto in modo abbastanza ingenuo per la verità, che serve a creare un legame empatico tra le vicende del film e il pubblico in sala. I ricercatori di Hawks sono inetti o, come si direbbe in America, “teste a uovo”. Uno di essi, Carrington, è convinto che sarebbe molto utile comunicare con la Cosa e ci prova lui stesso, salvo poi essere ucciso dall’essere. D’altra parte, il ruolo dei militari è chiaro: uccidere il mostro senza se e senza ma, perché il ricorso alla violenza è visto come il solo modo per liberare la Terra dal pericolo di un alieno senza sentimenti in giro per il mondo. Questo aspetto è il vero lato moderno del film. Oggi, sebbene spesso i film horror essudino violenza da ogni poro, la violenza è vista in genere come disprezzabile, sostituita dal ben più pacifico “dialogo”. Questa visione dipinge gli eventuali personaggi militari come rudi “colli di cuoio” tutti muscoli e poco cervello, ma sebbene sia una stereotipo, tale espediente narrativo è a mio modo di vedere preferibile, dal punto di vista della verosimiglianza. Ecco, per esempio, un dialogo famoso tratto da “Fanteria dello Spazio” di Robert Heinlein, altro nome noto della Gold Science Fiction degli anni ’50 ( e di ogni tempo, a dirla come si deve):
"La Cosa" secondo H. Hawks |
Sarebbe stato impossibile ricreare un alieno in grado di cambiare forma come quello descritto da Campbell e l’esigenza di non rischiare scarsi incassi convinse Lee Greenway, l’esperto di effetti speciali del film, a realizzare 18 differenti tipi di “Cosa” per soddisfare le pretese del regista. Non solo: l’attore che impersonava il mostro, James Arness, dovette girare vestito da alieno per Los Angeles ogni volta con un make-up diverso, fino a quando le reazioni della gente diventarono abbastanza spaventate da convincere il regista del risultato. Una delle differenze del film con il romanzo (e con la versione di Carpenter) è il fatto che la base artica è comandata dai militari e non è una installazione civile. Come ospite anche un giornalista, descritto in modo abbastanza ingenuo per la verità, che serve a creare un legame empatico tra le vicende del film e il pubblico in sala. I ricercatori di Hawks sono inetti o, come si direbbe in America, “teste a uovo”. Uno di essi, Carrington, è convinto che sarebbe molto utile comunicare con la Cosa e ci prova lui stesso, salvo poi essere ucciso dall’essere. D’altra parte, il ruolo dei militari è chiaro: uccidere il mostro senza se e senza ma, perché il ricorso alla violenza è visto come il solo modo per liberare la Terra dal pericolo di un alieno senza sentimenti in giro per il mondo. Questo aspetto è il vero lato moderno del film. Oggi, sebbene spesso i film horror essudino violenza da ogni poro, la violenza è vista in genere come disprezzabile, sostituita dal ben più pacifico “dialogo”. Questa visione dipinge gli eventuali personaggi militari come rudi “colli di cuoio” tutti muscoli e poco cervello, ma sebbene sia una stereotipo, tale espediente narrativo è a mio modo di vedere preferibile, dal punto di vista della verosimiglianza. Ecco, per esempio, un dialogo famoso tratto da “Fanteria dello Spazio” di Robert Heinlein, altro nome noto della Gold Science Fiction degli anni ’50 ( e di ogni tempo, a dirla come si deve):
“Una nostra compagna gli disse a bruciapelo: “Mia madre sostiene che la violenza non ha mai risolto niente.”
“Davvero?” Il signor Dubois la guardò come se non la vedesse. “Sicuramente i cartaginesi sarebbero lieti di saperlo. Perché tua madre non va a dirglielo?”
Non era la prima volta che litigavano, visto che nella sua materia non si poteva essere bocciati non c’era bisogno di far restare buono il signor Dubois.
“Mi sta confondendo con una scema?” Ribatté lei, “Lo sanno tutti che Cartagine è stata distrutta migliaia di anni fa.”
“Mi era sembrato che fossi tu a non saperlo” disse lui con aria cupa. “Ma, dal momento che lo sai, non sembra anche a te che la violenza abbia deciso il destino di quella città in maniera alquanto definitiva? In ogni caso, non stavo scherzando te, ma stavo deridendo una teoria assurda, abitudine alla quale non rinuncerò mai. A chiunque si attenga alla dottrina storicamente inesatta, e completamente immorale, che la violenza non ha mai risolto niente, vorrei consigliare di evocare i fantasmi di Napoleone Bonaparte e del duca di Wellington, e lasciare che discutano la cosa tra loro. Il fantasma di Hitler potrebbe fare da arbitro e la giuria potrebbe essere formata dal dodo, dall’alca impenne e dal piccione viaggiatore. La violenza e la forza bruta nella storia hanno risolto più situazioni di qualsiasi altro elemento, e chiunque pensa il contrario è un illuso. Le specie intelligenti che hanno dimenticato questa verità fondamentale hanno regolarmente pagato l’errore con la vita e la libertà.”
“Mi sta confondendo con una scema?” Ribatté lei, “Lo sanno tutti che Cartagine è stata distrutta migliaia di anni fa.”
“Mi era sembrato che fossi tu a non saperlo” disse lui con aria cupa. “Ma, dal momento che lo sai, non sembra anche a te che la violenza abbia deciso il destino di quella città in maniera alquanto definitiva? In ogni caso, non stavo scherzando te, ma stavo deridendo una teoria assurda, abitudine alla quale non rinuncerò mai. A chiunque si attenga alla dottrina storicamente inesatta, e completamente immorale, che la violenza non ha mai risolto niente, vorrei consigliare di evocare i fantasmi di Napoleone Bonaparte e del duca di Wellington, e lasciare che discutano la cosa tra loro. Il fantasma di Hitler potrebbe fare da arbitro e la giuria potrebbe essere formata dal dodo, dall’alca impenne e dal piccione viaggiatore. La violenza e la forza bruta nella storia hanno risolto più situazioni di qualsiasi altro elemento, e chiunque pensa il contrario è un illuso. Le specie intelligenti che hanno dimenticato questa verità fondamentale hanno regolarmente pagato l’errore con la vita e la libertà.”
Questo non è il luogo né il momento per discutere dell’uso della violenza nei film o nei romanzi e neanche della pratica del “politicamente corretto” che tanto va di moda oggi, ma è mia intenzione discutere dell’aspetto narrativo. L’atteggiamento dei militari del film di Hawks è chiaramente a senso unico, ma era dettato dalla paranoia contro i Sovietici. Pertanto, anche per come finisce il film, con la solita e ormai patetica frase “Guardate i cieli! Guardate i cieli!” va interpretato con un occhio di riguardo al periodo storico. Discorso diverso per un romanzo o un film scritto oggi. L’uso della violenza indiscriminata è certamente da condannare, ma se dobbiamo descrivere scene d’azione, se vogliamo narrare qualcosa di verosimile, allora è inutile affidarsi all’improbabile ma a ciò che sarebbe l’atteggiamento più logico davanti a un pericolo. Nessuno evacuerebbe con calma un edificio in preda alle fiamme per paura di calpestare altre persone viste come "vittime innocenti”, ma il senso di autoconservazione tipico di qualsiasi essere vivente scatenerebbe il panico incontrollato. Lo stesso dicasi sul campo di battaglia, sia essa una lotta tra due o più individui sia una guerra vera e propria. Cercare di far virare la storia verso sentimenti di “pace & prosperità”, per dirla alla Signor Spook, può essere una soluzione, ma dobbiamo guardare al contesto, altrimenti ci ritroveremo per le mani una storiella infantile e di scarsa qualità. E infatti, dal punto di vista della scorrevolezza, il romanzo di Campbell è nettamente migliore del film di Hawk, che pure non rinuncia alla violenza dei militari, ma non in modo così rude. Il film di Hawks è una schifezza, allora? Non proprio perché, come abbiamo già detto, un'opera va letta o guardata a seconda del proprio contesto storico. Con la Guerra Fredda come spauracchio dell’Occidente, il film di Hawks ha certamente senso, ma a parere di chi scrive è stato superato in ogni aspetto da quello molto più moderno di Carpenter che, sia detto per inciso, realizzò anche una versione più fedele al romanzo.
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