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domenica 25 settembre 2011

Talento e Tecnica




Spesso molte persone mi chiedono quale sia il segreto, se ne esiste uno, per scrivere una storia realmente evocativa e quando io rispondo loro che il cuore è l'ultima delle cose che serva si mostrano perplesse. Molti scambiano il Talento per l'anima, forse perchè sono tante quelle false interviste fatte ad autori nostrani più o meno noti che affermano senza mezzi termini di essere quasi toccati dalla grazia divina, di scrivere seguendo i battiti del proprio cuore e robe del genere. Inutile dire che chi sciorina queste frasi è un ingenuo se non un perfetto mentecatto della penna. Lo dico chiaro e tondo: chi scrive col cuore e "ascoltando i battiti delle proprie emozioni" non è uno scrittore, ma una persona senza talento. Le emozioni, da sole, non hanno valore perchè se cominci una storia senza aver mai letto altro che i soliti noti, scriverai probabilmente qualcosa di scontato e talmente noioso da rasentare il ridicolo. Perchè? Perché non si può scrivere un Fantasy avendo letto solo Tolkien e poco altro. Senza contare che spesso l'aspirante scrittore dovrebbe rivolgersi a narrativa di un certo livello. La comune e inflazionata frase che recita come leggere sia un'attività sempre edificante non potrebbe essere più falsa specie se chi deve leggere è un aspirante scrittore o scrittrice. Una cosa è leggere autori riconosciuti come autentici autori, altra è leggere la solita brodaglia riscaldata che la pubblicità presenta di volta in volta come "rivelazioni", "geni della penna" e quant'altro. Ecco perchè vi dico: NON leggete indiscriminatamente i libri ma cercate di fare vostre quelle regole fondamentali che un buon lettore dovrebbe seguire sempre:

1) Il libro tal dei tali è un classico? Non serve pescare il tomo cecoslovacco dell'autore morto suicida del 1933, basta anche leggere un autore riconosciuto come valido a livello di Critica nel 2004...

2) Di questo romanzo/racconto ho letto molte recensioni? 

3) La trama del libro è simile/ispirata da quella di altri romanzi molto noti? Se è così NON compratelo. Spesso si tratta di libri-fotocopia.

4) Leggete sempre l'aletta di copertina, la quarta, sfogliate le prime pagine. Se si è lettori esperti basta anche una sola occhiata per capire il tono del libro. 

5) Non seguite le mode, specie se lanciate dalle majors...

6) Non è certo un peccato mortale se adorate il Fantasy ma, prima di approdare a quello italiano, costola neanche tanto buona di quello anglosassone, non leggete solo Tolkien. Il Fantasy non è solo Tolkien, il Fantasy è un genere vastissimo. Esistono molti ottimi Fantasy, per esempio quelli della Bradley o della Le Guin. Leggete e documentatevi molto sui titoli da scegliere.

So bene che si tratta di regolette empiriche ma almeno è un buon inizio. Se volete scrivere è importante documentarsi e per uno scrittore la documentazione più efficace è sempre ottima narrativa non quella che già di partenza COPIA quella valida. E non sta scritto da nessuna parte che la tecnica non serva o che sporchi "le emozioni"...  La realtà dei fatti è che nessuno, neanche i più grandi scrittori di sempre, hanno mai potuto affrancarsi dalla tecnica. Attenzione però: la Tecnica, da sola, non conta nulla. Puoi scrivere un romanzo dopo aver frequentato la migliore scuola del mondo studiando notte e giorno e comporre una storia senza nessuna attrattiva, priva della capacità di far sognare il lettore. E’ questa la vera e propria truffa di chi organizza corsi del genere attirando i gonzi convinti che, così, diventeranno ricchi & famosi. Ma anche il Talento, se non è usato al meglio delle proprie possibilità, ti farà scrivere storie senza valore anche se nel confronto tra le due visioni meglio un talento senza tecnica che una tecnica senza talento. Talento & Tecnica, ricordatevi questo mantra. Questo, è il solo “segreto” che differenzia un artista autentico (non solo della parola scritta) da un tizio che scrive (o dipinge, o suona, o disegna). Ed è curioso che moltissima gente non pensi a quello che effettivamente è un punto di vista talmente vero da rasentare l’ovvietà. Volete qualche esempio? Leonardo Da Vinci e gli artisti più noti del Rinascimento trascorrevano ore a eseguire dissezioni su cadaveri nel tentativo di studiare al meglio possibile vene, capillari, forma e grana della pelle da riprodurre poi con i loro quadri e le loro statue. Certo, un Leonardo possiede anche il Talento, perché senza di esso sarebbe inutile fare a pezzi mille cadaveri. Per usare un paragone, pensate al Talento come all’argilla che il vasaio conosce alla perfezione, ma che deve imparare a modellare per poter esplicare la forma dell’opera definitiva.



Il celebre Uomo Vitruviano di Leonardo.

E qual è il segreto del vero artista/scrittore? Nessuno possiede la regola aurea universale, perchè ogni scrittore deve arrivarci da sé. Non esistono scorciatoie né raccomandazioni. Il Talento, quello vero, non è qualcosa che si possa descrivere, tuttavia è qualcosa che si può educare. Leggere tanto, non aver fretta di pubblicare, osservare le grandi opere altrui (NON COPIARLE!) e poi camminare da soli affinando pian piano il proprio stile è un buon consiglio. Ecco perché si dovrebbe cominciare prima leggendo, poi scrivendo frasi sconnesse, poi racconti e solo dopo romanzi. Considerate anche che quando vi dedicherete ai vostri primi romanzi dovrete vederli come sperimentali. E' quel che ho fatto io. Il mio talento è stato la molla inconscia di leggere sempre, a qualsiasi ora, in compagnia di un’immaginazione che non è mai stata fermata da niente. Poco alla volta quell’immaginazione (io la chiamo Capacità Immaginifica) mi ha fatto scrivere le prime storie, i primi racconti e poi i romanzi.


L'ispirazione artistica

Cancellare, scrivere, gettare via… tutto questo comporta tempo e fatica. Non si può scrivere un romanzo scopiazzato da Tolkien e pretendere di pubblicarlo perché lo abbiamo scritto col cuore! Se ti piace Tolkien non lo devi copiare: lo devi amare. Quando cominci a scrivere, poi, devi cercare di imitarne lo stile, ma NON di copiarne la trama. Lo stile NON è la storia: è ciò che la crea. E lo si segue non solo leggendo e rileggendo le opere che ti piacciono, ma anche quelle che non ti piacciono. Come sa chi mi segue fin dai miei esordi, io lasciai da parte i miei primi racconti per tantissimi anni. Non pensavo neanche di pubblicarli e il mio primo libro, “Alfa e Omega”, fu pubblicato per caso, quando conobbi il responsabile di una C.E. che mi chiese, incuriosito, cosa scrivessi. Da allora sono trascorsi molti anni e il mio stile è andato evolvendo col tempo.


L'importanza delle parole

Le parole sono per l’artista/scrittore l’equivalente dei colori di un pittore. Non vanno usate a caso, non vanno sprecate: devono essere queste a dare a chi legge il senso di quel romanzo, quel racconto, quella poesia. Nessuno scrittore usa le parole a casaccio, tranne quegli autori senza talento che pensano che usare linguaggi  aulici serva a dare a chi legge l’illusione di un bellissimo romanzo. Tali sono gran parte degli scribacchini odierni, non importa da quanti milioni di copie vendute, che infatti sono spesso costruiti a tavolino dalle majors. Una frase eccessivamente retorica è utile quanto una coppa di champagne a un naufrago su un’isola deserta. Il lettore attento ne avverte subito l’inconsistenza perché


la vera bellezza è figlia dell’economia delle forme e la vera eleganza dell’arte è sempre una conseguenza dell’arte stessa e non il fine.


Con questo voglio dire che quando si legge una frase davvero evocativa, potente, è perché quella frase scatena nella mente di chi legge una serie di sensazioni che fanno provare il sense of wonder di cui abbiamo già parlato in passato. Ecco cosa dice, allo stesso proposito, David Gerrold:


“Concentratevi sulla precisione. Non preoccupatevi di costruire belle frasi. La bellezza nasce dal significato, non dal linguaggio. L’accuratezza è lo stile più efficace che esista.”



Per chi non lo sapesse Gerrold è uno scrittore di fantascienza. La sua SF non è quella spicciola, da quattro soldi, che anche negli States va per la maggiore. La sua è vera poesia trasformata in prosa, molto simile a quella di Simak. La sua opera più famosa è forse il ciclo de La Guerra contro gli Chtorr. La sua carriera lo ha visto anche sceneggiatore per Star Trek e direi quindi che l’amico non è esattamente l’ultimo degli scemi. Gerrold è anche famoso per aver detto a chiare lettere che i due motivi che hanno fatto di lui uno scrittore e non qualcos’altro erano la rabbia e la paura. Rabbia verso il suo primo insegnante secondo il quale non sarebbe mai diventato uno scrittore e paura di non riuscire a scrivere abbastanza. Anche Gerrold, ed è stata per me una piacevole scoperta, parla dell’importanza delle parole.


Lo scrittore di SF David Gerrold


Secondo Gerrold chiunque voglia essere un vero scrittore deve considerare i primi dieci romanzi che scrive come semplice allenamento. Se vengono pubblicati bene, ma era solo uno scaldare i muscoli, se vengono rifiutati non importa, era solo far pratica. Sono contento di aver scoperto un altro scrittore, uno vero, che ha pensato bene di ricorrere al romanzo vero e proprio non come un punto d’arrivo o un punto d’inizio, ma come a uno strumento. Per quanto riguarda me, la mia Seconda Generazione è la fase sperimentale dei miei romanzi, quando cioè decisi che il tempo della mia Prima Generazione era finito e che avrei dovuto guardare oltre se non volevo ammuffire e scrivere sempre le stesse cose. In altre parole, se volevo davvero evolvermi. Ve ne accorgerete quando leggerete “Primus”. E’ questo al momento il mio romanzo più fantasioso, folle, distante da qualsiasi cosa abbia mai scritto e pubblicato. Mi è servito per cercare una mia dimensione esplicativa, imparare da me stesso, usare ciò che ho imparato per creare qualcosa di inequivocabilmente mio e, spero, innovativo. Ma se la teoria di Gerrold è realista, devo ancora farne di strada. Ecco perché al momento sto scrivendo “Sensum” e poi, il quarto romanzo della serie. Questa è la mia risposta a quanti di voi mi hanno chiesto cosa sia il Talento e cosa serva per scrivere un libro. Talento & Tecnica. Con il primo ci nasci, con la seconda ci cresci. Perché questo è il solo modo, secondo me, di imparare a volare come Gabbiani delle Stelle.


Massimo Valentini


















lunedì 19 settembre 2011

"Scusa ma ti voglio sposare", recensione



Lo so, vi avevo detto che non avrei mai letto un altro libro come “Amore 14”. Lo avevo giurato, lo avevo assicurato a me stesso e, credetemi, mi sono odiato per questo. Esatto, avete capito bene: mi sono odiato! La mia immagine riflessa nello specchio, questa mattina, mi ha guardato con tanto odio che al confronto i simpatici siparietti al sapor di “sei una capra!” di Sgarbi sono un inno alla dolcezza però… Però, ecco, dopo aver letto i vostri gustosi commenti ho capito che avrei dovuto darvi un’altra possibilità di divertimento. E un po’ di sano divertimento, adesso che le cose in Itaglia vanno sempre più a putt illuminate esponenti politiche di sesso femminile, credo sia giusto offrirvi un’altra recensione che sembra semi ma, invece, è proprio seria. Ecco dunque a voi la recensione di "Scusa ma ti voglio sposare", uno dei libri più amati e odiati allo stesso tempo dal grande pubblico.  


Per chi di voi si chiedesse perché mai proprio questo e non “Scusa ma ti chiamo amore”, ovvero il pre-abominio, risponderò che questo è il titolo che a parere di chi scrive meglio si presta a essere visto come un assoluto concentrato delle caratteristiche che tanto piace ai fan di F.M. vale a dire miele, zucchero, latte e un po’ di farina per dare a chi legge l’illusione di geniali perle di saggezza sull’Ammmmore. Amore senza confini, (d’età) amore saggio, puro e zuccheroso che farebbe la gioia di ogni dentista che si rispetti.


Trama:

 

Il libro racconta il seguito dello storieggiare tra Niki-so-bella-bona-e-c’ho-la-paresi-da-sorriso e Alex-so-figo-ricco-e-c’ho-la-girl-appena-diciottenne. Alle corte! Niki e Alex si sono ritirati a vivere in un magnifico faro ancorato su suna brulla isoletta nutrendosi di sole, mare e ammore. Come tante coppie anche loro fanno a gare a dimostrare chi dei due è più intelligente, come quando li vediamo impegnati amorosamente a dare un nome alle rocce dell’isola. Ed eccoli, moderni Romeo e Giulietta, che danno i nomi agli scogli: “scoglio gatto", "scoglio elegante", "scoglio sesso", (sì, sì: ho detto sesso!) ecc, ecc. Ma anche i quarantenni rampanti dopo un po’ si rompono le scatole su un' isola deserta ed eccoli tornare entrambi a Roma ma, sorpresa!, Alex compra un appartamento per due ed è kosì karino-ino-ino da arredare una stanza esattamente come quella della dolce fanciulla, vale a dire con tanto di cuscini di pizzo, poster bimbominkiosi alle pareti, tende rosa e cose così.

 
E dato che l’uomo di 40 anni, si sa, è un po’ rinco rispetto a una ventenne ecco Alex preparare i soliti souvenir delle fughe sopra la televisione del salotto, tazzine da caffè e tutta quella paccottiglia made in China che tutti noi compriamo ogni qual volta ci rechiamo in vacanza. Il lato rompicoglioni da quarantenne e ventenne-che-sembra-quarantenne della coppia è evidente da frasette del tipo:


“Senti, non bere troppo caffè, che poi la sera non dormi.”


E dagli spassosi teatrini che vedono entrambi lavarsi i denti facendosi le feste a vicenda:


“...lavarsi i denti ridendo, facendo la schiuma, cercando di parlare senza farsi capire, bofonchiando contro lo spazzolino.”


Lo studio però è importante (prima lezioncina morale di Moccia) e quindi Niki si iscrive a Lettere; qui il Sommo ne approfitta per sfondare le gonadi al povero lettore usando la sua solita becera moraletta per descrivere vere e proprie invenzioni Fantasy. Per esempio quando, in una delle tante manifestazioni studentesche, Niki non vede l’ora di immagazzinare qualcosa nei due o tre neuroni che ha al posto di un vero cervello e si secca delle manifestazioni che non le consentono di dedicarsi all’amore della sua vita: il fancazzism lo studio:

 

“Anche oggi! Che palle. C’era una lezione fichissima di Letterature comparate. Quando c’è qualcosa di interessante…”



Dall'espressione non sembra, ma è una ragazza che studia

Letteratura comparata. Mmmm. Io non ce la vedo la Niki/Quattrociocche a seguire cotanta materia, voi si? Che occhio! Beh, proseguiamo. Il Sommo non perde neanche occasione per farci capire quali siano le sue idee politiche (seconda lezioncina morale!) ed eccolo illustrare l’arcano mondo sommerso che muove le masse studentesche:


“E’ sempre così… Qualcosa muove gli studenti, o comunque gruppi importanti della nostra società, per far sembrare fragile l’intero sistema [...] Sai se chiedi a quei ragazzi dell’Onda il perché delle loro manifestazioni quanti ti sanno dire qualcosa di sensato?”


Ci sono anche gli scontri tra gruppi di studenti, tanto per chi non avesse capito bene, che vedono tale Renato Materia, studente-artista, considerato da più “uno schiavo del sistema” e lo fischiano urlando:


“Buffone, bugiardo, falso artista di Sinistra!”


E poi non manca la catarsi letteraria, cioè la terza lezioncina morale del Maestro. E che poi è il solo, unico motivo per comprare questo libro è quella perla di altissima ed eruditissima rivelazione sul sistema universitario tricolore che induce gli artisti, quelli veri, e i geni, quelli autentici, che invece di studiare come sarebbe logico in un mondo normale vogliono fare i Cento Celle de noaltri:


“Uno spogliarellista pazzesco con un fisico da urlo, i capelli lunghissimi neri, scuro di pelle e bello da morire [...] due lauree, in astrofisica e in ingegneria aerospaziale, ha scritto vari testi anche su riviste straniere e solo per mantenersi fa lo spogliarellista.”
“Perché in Italia non ci sono borse di studio nelle sue discipline. Ma vi rendete conto?”


Gruppo di geni ignorati dalle università secondo Moccia


Certo sappiamo tutti che il sistema italiano, grazie alla SECOLARE lungimiranza di TUTTE le forze politiche siano esse destroidi, sinistroidi, ameboidi, fascistoidi ecc, è meravigliosamente organizzato in modo da rendere difficile la vita ai veri cervelli tanto che tantissimi scappano all’estero. Ma dire che uno davvero bravo debba fare lo spogliarellista mi sembra un tantino esagerato. Anche perché, lode e rispetto agli/alle spogliarelliste, ma non mi pare che un locale da lap dance sia in realtà popolato da tante Marie Curie in mutandine di pizzo e reggiseno o Einstein tutti muscolacci e finto-chic-sudore-sbrilluccicoso.



Sembra una lap dancer e invece no: è un genio della Fisica!


Sono molto simpatici i tentativi fatti da Moccia per far credere al povero lettore di essere uno scrittore Super-Ultra-Stra-Mega-Ggiovine. Questo si nota dalle sue aulicissime iperbole vecchie di un decennio fa che usa per far dialogare i ggiovani:


“...è vero, amo il surf, mi piacciono le onde perché, come diceva Eugene O’Neill, solo sul mare si è davvero liberi“..."

 

“Puntiamo i fari delle macchine verso il mare ed è una ficata.”


“che sballo!”


Senza contare la deliziosa e assoluta NON-capacità del Sommo di essere  coerente con se stesso!Mi riferisco al suo identificare tutto ciò che si presenta in modo più o meno finto ai margini del sistema come autentico luogo/individuo “artistico”. Cosa che a me, specie dall'epoca del '68, è sembrato sempre in odor rosso più che destroide. Mah! Misteri dell'arte mocciana. Comunque il Sommo ripete spesso questo mantra. Lo abbiamo già visto nella patetica figura di Rusty James dei poveri, il fratello scemo-ma-artista-della-cretinetta-Caro, eroina di "Amore 14", e lo rivediamo qui con il CentoCelle Student-Boy e anche con un tale che fa il surfista a Miami Civitavecchia! A proposito di questo tizio che Moccia descrive, lontano lontano lontano dagli stereotipi, con ciuffo ribelle, solita moto sotto il culo (in questo caso una rombante Harley-Davidson) e fascinoso giramondo che racconta le sue emozioni a una platea di studentesse eccitate. Ed ecco che, ma non me lo sarei mai aspettato, questo tizio s’innamora di Niki e per farle mollare il vecchio bacucco la invita al ristorante etnico.


Ricordate quando vi dicevo che Moccia non ha la più pallida idea del mondo né dei giovani né di quello in generale? Ecco, appunto. Tanto è vero che un comunissimo ristorante etnico è dal Sommo descritto come una trasgrescio assoluta perché mangiare le robe africane cambia Niki da così a così e la farà crescere. C’è poi anche una scena che mi fa molto pensare. Ma molto e dico davvero. Pensare cioè su quanta neve sia necessaria per scrivere una boiata finto-radical-chic come quella che vede il fascinosissimo pirla di cui sopra riferire a Niki le sue erudite idealità come quelle che seguono:


“Quando stavo al liceo, e magari avevo litigato con mio padre per l’ennesima volta, prendevo il motorino e mi fermavo qui con il mio libro e una birra magari… al sole… sulla tomba di Keats”…



Una poetessa che si reca alla tomba di Keats


E per non dimenticare quanto il finto sporco ma autentico genio serfista de Civitavecchiaaaaaaaa sia anche sensibile e dunque affascinantissimo per il cuore della pulzella eccolo sciorinare una stronzata colossale sull’amore verso le bestiole e gli altri esseri umani:


“…compare una donna dal passo lento con un vestito lungo e i capelli sciolti bianchi che selvaggi le scendono giù coprendole il viso. Protegge con una mano la debole fiamma di una candela, mentre ai suoi piedi uno stuolo di gatti affamati la segue…” “…tradita dal marito ha perso la ragione, è impazzita, ama l’amore più di ogni altra cosa e così è diventata colei che si occupa di Keats [...] ha rinunciato alle cose pratiche, alla moda, alle sue inutili proprietà, per ritrovare qui il sentimento, essere devota alla poesia e all’amore…”


E Alex? Già, Alex. Il povero idiota, accortosi che Niki fa la smorfiosa con il serfista (SERFISTA non SURFISTA. E’ di Civitavecchia, ricordate?) medita vendetta e gelosia. No, tranquilli, mica imbraccia una Beretta e fa fuori il ganzo. No, Moccia è trooooppo politicamente corretto, non si fa. E allora che fa? Chiede a lei di sposarlo, no? Ed ecco, adesso mi sto annoiando sul serio, che Moccia proprio non ce la fa a far capire quanto lui conosce della vita, quella vera, fatta di sudore e lavoro e non quella del figlio-di-papà-che-non-sa-fare-un-cazzo-ma-dice-di-essere-bello-e-intelligente.


Ad ogni modo la proposta di matrimonio la fa sull’elicottero, nel cielo di New York, sospesi davanti alla cima dell’Empire State Building che, chissà perché, appena l’ho letto ho sperato che fosse vero e che in quell’attimo il caso dell’11 settembre coinvolgesse solo quel coglione di Alex... Dopo le ovvie" miao miao miao miao" (trad: quanto ti lovvo! Oh, come sei pazzerello e coraggioso. Ti lovvo davvero tanto. Ma tanto. Ma tanto. Ma tan… Bang!) Ecco Alex che, non sia mai detto, anche lui è colto, bello, intelligente ecc, ecc, ecc ed eccolo portare la sua Niki alla ricerca della vera New York, non quella patinata. E dove la porta? A fare shopping da Macy’s, ovviamente. Cioè alla meta dove TUTTI gli italiani vanno quando si trovano a New York impegnati nello shopping selvaggio. Ma si sa, Moccia è originale… Una delle cose che, se vista con il giusto spirito, quello a metà tra il goliardico e il serio altrimenti scatta l’istinto omicida contro Il Sommo, sono i dialoghi. Sono così deliziosamente irreali, assurdi, quasi li avesse scritti una foca in stato di grave astinenza da Magic Viagrae. Eccovi un raffinato dialogo tra Niki e Alex su quale menù servire per il loro lovvo-matrimonio:


“Io farei tutto mare… Ma se qualcuno è allergico?”
“Al pesce? Non lo invitiamo!”
“Ma dai, non è carino!”
“E i fritti?”
“Ci devono essere!”
“E un po’ di prosciutto crudo?”
“Ci deve essere!”
"E un po’ di parmigiano?”
“Ci deve essere!”



La voglia è quella di chiedergli di cambiare disco o controllare la puntina. Anche la famiglia di Alex, ovviamente ricchissima, riflette la fantasya del Sommo che la presenta come una cricca di intellettuali Chic and Easy di Prima Qualità (mod. Io-So’ Homo De Erudizione Che credi?) E infatti la loro stramegavilla sfoggia arazzi, quadri a olio con scene di campagna e ritratti di avi illustri e parlano sciacquandosi la bocca con famosissime riviste super-letterarie come Vanity Fair. Ecco la frase più usata dai dialoghi di cotanto genitori:


“L’ho letto su Vanity Fair...”

La Treccani di Moccia

Che vuol dire: lui (Moccia) l'ha letto su Vanity Fair. Ma come in tutte le lovvo-story mocciane ecco che il truzzo SERfista de Civitavecchia non ci sta e riconquista Niki che intanto ha vagamente capito che a sposare uno mooolto più vecchio di lei, anche se ricchissimo, significherà prima o poi pulirgli il pannolone. E che fa Alex? Dopo averle di nuovo dichiarato il suo amore in Disco per “far suonare il suo cuore…” no comment, cerca di ringiovanirsi un po’ accattandosi anche lui l’Harley che servirà poi da carrozza matrimoniale figa-e-trasgrescio. Con questa scena finisce questa immonda por questa deliziosa opera letteraria che vede i due piccioncini sfrecciare sulla motorazza (Moccia dev’essere ossessionato dalle moto, dacchè ne parla in TUTTI i suoi libri) vestiti di bianco. Lei come una pseudo-virgo-ma-sexy-doll e lui come un simpaticone-gelataio-di-bianco-vestito.


Recensione:

Francamente credo sia un mistero sapere come la mente di Moccia possa generare tali assolute nefandezze. Dialoghi da scuola elementare, concetti distorti e un senso del ritmo sconosciuto fanno di questo libro l’apoteosi del trash. E la cosa brutta è che “Amore 14” "Scusa ma ti voglio sposare" non è una storia ironica, una versione romanzata alla scary movie, insomma, ma vuole seriamente essere uno spaccato del mondo dei teenagers moderni. Sapete che vi dico? Penso che Moccia non abbia mai letto i libri di Terry Pratchett, tanto per citare solo uno dei tantissimi autori la cui narrativa è dedicata a un pubblico di giovanissimi. Adesso voi direte che quelli son Fantasy per ragazzi mentre questo non lo è. Eppure...


Eppure un libro come "Amore 14" “Scusa ma ti voglio sposare” e altre pubblicazioni come questa sono in realtà tentativi di una civiltà aliena per controllare il mondo partendo dalle menti più fragili, quelle dei giovanissimi. Alieni scemotti, però, digiuni di vita terrestre, col cervello in panne e con manie di grandezza!

Che dite? Questo è lo stesso verdetto dato ad “Amore 14”? Esatto, ma perché, voi pensate davvero che i libri del Sommo sono uno diverso dall’altro? No? Ah, ecco. Alla prossima e… volemose bene!


Massimo Valentini








venerdì 9 settembre 2011

"Amore 14", recensione





Vi avevo detto che sarei stato disponibile a recensire Moccia ed eccoci arrivati alla recensione che avete chiesto, quella di “Amore 14”. Detto tra noi, non capisco perché non abbiate chiesto quella de “L’uomo che non voleva amare”, ovvero l’ultima fatica (fatica?) del teen-writer per eccellenza ma tant’è. Quando il rospo va ingoiato va ingoiato e mosca. So di avervi abituati a leggere recensioni doppie, nel caso avessero tratto anche un film dal libro da recensire del momento ma in questo caso, perdonatemi, proprio non ho avuto il coraggio di guardare anche l’insulso filmetto recitato da decerebrati tratti da questo abominio cartaceo. Porca miseria, ragazzi, non sono mica Rambo! Quindi eccovi solo la recensione del libro che, credetemi, ha richiesto tutta la mia buona volontà per non gettarlo in pasto alle tarme dopo aver letto la prima pagina. Che Moccia pubblichi libri di larghissima diffusione è un dato di fatto, che questo voglia dire che è anche uno scrittore avrei qualche piccolissimo dubbio. Adesso voi direte che Moccia è uno scrittore specializzato in libri per ragazzi. Beh lo era anche Jack London. eccovi un paragone:




scrittore per ragazzi secondo alcuni



Scrittore per ragazzi secondo il resto del mondo


Essì che oggi, complici orrendi trashate televisive, s’improvvisano scrittori/trici i classici dogs and pigs (trad. cani & porci) magari provenienti dai reality per cui perfino questo “Amore 14” potrebbe essere definito un romanzo anche se, in verità, solo dopo una sbronza colossale. Ma andiamo a recensire e che Santo Dick abbia pietà di noi.



Amore 14: trama

Carolina detta “Caro” è il prototipo della ragazzina moderna, semplice e ingenua, che dovrebbe essere all’oscuro di tutto ciò che ruota intorno al sesso ( non conosce neppure il petting…) . Come tutte le ragazzine della sua età anche lei ha tantissime amichette con le quali scambia le sue esperienze di vita e la sua visione del mondo. Essendo la protagonista del libro è lei la figura attraverso la quale ruota la storia e la vediamo trascorrere il proprio tempo a confidarsi con le sue amiche, raccontarsi i primi, timidi baci, le prime esperienze di vita e, ovviamente, anche il difficile rapporto con i genitori che, a quell’età, è sempre molto delicato. Come in tutti i romanzi mainstream dedicato a un certo tipo di storie ecco che nella vita di Caro arriva l’amore e, di lì, una serie di piccoli, grandi scoperte che le spianeranno la transizione verso l’età adulta. Fine della trama.



Amore 14: recensione

Ormai sono trascorse “enti” primavere dai miei 14 anni ma, devo dirlo, anche a quell’età non avrei avuto il minimo dubbio su cosa pensare di questo libro: il bagno, come rotolo della carta igienica. Non è possibile pensarla diversamente perché l’autore dimostra di non aver affatto presente il reale mondo dei quattordicenni di oggi (molto più complesso di quel che afferma su queste pagine) di cui presenta stereotipi privi della benché minima credibilità anche per un libro destinato a un pubblico di giovanissimi. Questo libro, che io sia dannato se ne leggerò un altro, è un vero e proprio guazzabuglio di stucchevoli scemenze scritte con uno stile semplicistico (non semplice, attenzione. Perché semplice sarebbe stato quello indicato per un libro con la pretesa di descrivere il mondo giovanile, ma semplicistico che poi è l’apoteosi del Io sò lo scrittore moderno e bbbravissimo ma non so una cippa!) un distillato delle più becere fiction televisive oggi di moda, di luoghi comuni tanto sdolcinati quanto irrealistici, di assurde ignoranze sessuali, salvo poi scoprire in un battibaleno, toh!, sesso & roccherolle a go-go, e robetta simil spot televisivi per deficienti. Per esempio, Moccia a quanto pare crede sia plausibile che una ragazzina come Caro non sappia niente, ma proprio niente del sesso.  Un esempio per tutti è quando, poverina, si dichiara ignorante dei baci alla francese, si quelli con la lingua ohmioddio!, e afferma, apriti cielo, che Basic Instinct sarebbe: “un corso video di lotta greco-romana”. A questo punto devo pensare che Caro sia:

a) Scema come una campana

b) Bugiarda patologica

c) Un’aliena dalle sembianze umane appena atterrata sulla Terra per errore.

E quanto alle sue nozioni sul sesso? Eccovi un assaggio del suo primo bacio...


“Cosa succede? Sento qualcosa di strano nella bocca. E’ la sua lingua! Ma aiuto… Però… non mi dà fastidio. Meno male! Che bello.”

Ovviamente Caro ha anche una schiera di amichette più scafate di lei che un bel giorno decidono di fare una vera e propria lezioncina di sesso, con tanto di lavagna con la quale descrivere “pisello” e “pisella”. Una lezioncina tanto mielosa quanto, secondo il Sommo, realistica tanto è vero che  pisello & pisella fanno svanire all’istante il virgineo candore catto-cristiano di Caro per trasformarla in una lussuriosa sexy doll poiché, appena a casa, la nostra amica esplora la sua prima masturbazione nella vasca da bagno. Quando poi conosce Massi, cioè Massimiliano (sì, questi diminuitivi idioti solo Moccia li sa trovare. Dev’essere un suo marchio di fabbrica) ecco che Caro è già pronta per il fisting:


“Il mio respiro si fa più corto, affannato, affamato di lui, dei suoi baci, della sua mano, che continua a muoversi dentro di me…”




Caro prima della lezione sul Pisello e Pisella



Caro una volta fatto il suo primo dital bagnetto
 
Leggere un libro del genere comporta seri rischi per la propria pressione arteriosa. Perché ti viene voglia di afferrare per le palle quei geni delle C.E. coinvolte in questi squallidi libretti per sbatterli su una rotaia in attesa del treno. Che Moccia non sia un must in nulla credo sia assodato. Ma il fatto è che secondo lui i quattordicenni di oggi sarebbero assolutamente candidi, leggi CAPRE, in merito a qualsiasi cosa. Quando si dice il romanzo autobiografico… Già perché mi pare evidente che una scemenza del genere esca pari pari dalla vita dell’autore:


“La cosa assurda è che ormai con questi telefonini si fa tutto. Cioè, prima servivano solo per comunicare. Ora sono degli iPod, delle tele camerine e chissà quante altre cose che sinceramente io non so fare.”


Lo dico perché esistono quattordicenni in grado di crackare computer ben superiori a un telefonino. Certo, magari poi non sanno neanche dove stia l’Italia sulla cartina geografica, ma quella è un altro paio di maniche. Per quello dobbiamo ringraziare Sua Sapienza Mariastella Gelmini. Quanto poi i libri di Moccia sia intrisi di quella becera forma di ipocrisia benpensante è evidente da perle, si fa per dire, tipo questa che vede Caro e le sue amichette decerebrate ma taaaaanto brave andare in discoteca:


“Ed è follia, e sono risate, senza bere, senza sigarette, senza nessun altro tipo di aiuto, così pazze e naturali, con il coraggio di essere vivi.”


E poi, al gabbi-cesso, eccole in preda a innocenti ma sagge elucubrazioni sui pericoli della droga:


“Ma che c’hai la droga?” “Ma che!” Alis alza le spalle “Al massimo vuole fare una di quelle scritte sfigate che ogni tanto qualcuno fa.”


Sua Saggezza Letteraria Moccia ha sciorinato anche il buonismo italico contro la droga e le scritte volgarotte sui muri di ogni bagno pubblico che si rispetti perché, altrimenti, le ggiovani menti dei ggiovani d’oggi, così dolci, implumi e delicate, sarebbero di sicuro fuorviate dal sapere simili cose, poffarbacco! (a quanto pare Moccia ignora la presenza della TELEVISIONE. Per non parlare di Internet, eh!) E ovviamente non poteva mancare anche un’occhiatina di svenevole dolcezza verso gli immigrati visti non come persone come tutte le altre con i propri pregi e difetti, ma come angioletti zuccherosi pronti a versare qualche lacrimuccia per il destino avverso di una minorata mentale come è descritta Caro. Eccola che va da un tale Jamiro per le sue questioncelle di cuore, e cioè su come sarebbe andata a finire la storia tra lei e Massi:


“Jamiro scuote la testa. Guarda il telefono chiuso. Poi quelle carte. Ecco, ora vedo. Non era la pioggia. Jamiro si sente stringere il cuore. Sono lacrime.”


Da non dormirci la notte, vero? Un’altra delle sciocchezze propinate in questo… romanzo (bah!) è la palese ignoranza dell’autore in merito a cose decisamente comuni. Quando Caro decide di andare a giocare a Tennis va a un negozio per comprarsi l’equipaggiamento. Ed ecco, a parte la pubblicità occulta onnipresente nei libretti di Moccia, come l’autore non sappia un’acca di quanto costino certi capi griffati odierni:


“…Scarpe da tennis, calzettoni, gonna con sotto pantaloncino Adidas, maglietta Fila, tuta Nike, racchetta da tennis e due polsini…”


Per 81 eurozzi... Seee, manco al mercato cinese trovi quella roba a quel prezzo. Insomma, si dice che uno scrittore, un VERO scrittore, scusate perché qui m’incazzo e di brutto, debba sporcarsi le mani per conoscere il mondo o, almeno, conoscere bene l’argomento di cui desidera parlare, ma Moccia non capisce niente della vita. Per esempio, nei negozi accade di tutto e di più, neanche fossero il Parlamento Italiano. Ci sono addetti pronti a farti schede SIM a nome di qualcun altro se minacci di non comprargli il nuovo telefonino della Nokia, librerie dove ti danno con la più assoluta non chalance i dati delle carte di credito dei clienti che ti piacciono da morire perché te ne sei innamorata. Da tutto ciò si evince che Moccia è abituato evidentemente a una vita fatta di coccole e carezze ai piani alti, anzi, altissimi, del bel mondo dove puoi parlare con la erre moscia e sciorinare stronzate sul tuo ultimo Ferrari comprato dal Papi. Altrimenti non si spiegherebbe, un esempio tra i tanti,  l’assoluta mancanza di erudizione musicale che il Nostro Sommo Autore dimostra quando Caro & le sue amichette vanno in disco ad ascoltare i Tokio Hotel che secondo il Maestro sarebbero un gruppo discotecaro:



“il titolo della festa è Tokio Hotel!” “E allora?” “E allora dobbiamo essere delle cubiste scatenate!”


E poi, apice della sindrome Io sono figlio di Papi e ho la super-mega-ultra-iper-bat-mobile-attenta-all’inquinamento-ma-che-va-da-dio, cioè quei quadricicli passibili di essere guidati anche senza patente, moderna evoluzione dei tricicli motorizzati per disabili degli anni '70,  che secondo Moccia diventano qualcosa che Fast and furios gli fa nà pippa:


“…blu scura metallizzata con “delle strisce bianche e celesti che partono dalle ruote davanti e arrivano fino a dietro”, apertura telecomandata, antifurto, “luci di illuminazione azzurro ghiaccio che illuminano da sotto la macchina” …“due casse piccole davanti e un subwoofer enorme dietro”…“si apre un cassettino da sotto il cruscotto con pentolino, acqua, piastra elettrica.”


Secondo alcuni i libri di Moccia e gli orribili film da essi tratti sarebbero educativi e anche questo non farebbe differenza. E infatti il Sommo descrive un pirla scolastico che si butta dalla finestra del secondo piano, nel bel mezzo di una lezione, senza motivo. Nel mondo reale il deficiente di cui sopra sarebbe in prognosi riservata in qualche ospedale, il professore sotto shock con la paura di andare in galera e i compagni di classe che si prodigano in urla isteriche. E in quello di Moccia? Una gamba rotta, una piccola, piccola eh, ramanzina, e i compagni che ridono come pazzi per la simpaticissima azione del coglionaccio in questione. Ma è quando il Sommo descrive l'incontro tra Caro e Massi che sfiora il sublime della trash-narrativa per deficienti: 


“…vedo un tipo riflesso nello specchio che mi guarda. Ha gli occhi azzurro intensi, i capelli scuri, è alto e magro ed è più grande di me. Poi improvvisamente mi sorride. E allora ho un tuffo al cuore…”

E poi:


“una voce che mi sorride. “E’ questo vero?” Compare davanti a me il CD di James Blunt. E sento anche la musica, sembra quasi una magia.”


Cavoli che magia. Di quelle che in meno di un paio di giorni ti ritrovi a far sesso con una santerellina che prima non sapeva nulla di un bacetto con la lingua e poi ti si concede per un fisting, però! E da quel pirla che è Massi non trova di meglio, dopo aver scritto il proprio numero sulla vetrina di un negozio a uso e consumo della cretinetta Caro, che scomparire in una nuvola di broom bromm a bordo della sua potentissima moto:


“…Monta su una moto poco più lontano. Si gira un’ultima volta e poi quel sorriso, bellissimo…”


Notate la somiglianza tra questo libro-fotocopia e gli altri, a partire da “Ho voglia di te” per arrivare a “Scusa ma ti chiamo amore”. E poi, ehilà, il Sommo fa anche una virile, ma delicata (non sia mai!) auto-citazione del più classico degli stereotipi sugli scrittori. Essì perché il fratello di Caro, artista vero, artista nel’animo ma coglione fuori, Giovanni (detto Rusty James) pirlotto ovviamente alto, bello, artisticamente trasandato ma dal grande talento nonché scrittore in erba, scappa di casa per andare a vivere su un barcone sul Tevere. E il primo libro di costui, intitolato “Nuvole” è pari pari identico a una qualsiasi delle boiate di Moccia. Eccone una frase:


“E poi l’abbraccio stretta. E lei mi guarda negli occhi. “Ma…” “Shhh…” Le metto un dito sulla bocca. “Silenzio… Non senti il mio amore?” Lei allora sorride. Anche io. “Non andartene mai più”.


E Caro-la-sorellina-scema, dice al fratellino alto, bello e intelligente come una cozza appena svuotata del mollusco:

“Non andartene mai più!” E’ bellissimo… ma come ti vengono certe cose?”


Poeta secondo Moccia


Poeta del mondo reale

Roba che Dylan Thomas si rivolterebbe nella tomba se le avesse anche solo guardate da quattro chilometri di distanza. Ma già, Rusty-lo-scemo sarebbe un poeta...


Per farla breve:

Francamente credo che sia un mistero sapere come la mente di Moccia possa generare tali assolute nefandezze. Dialoghi da scuola elementare, concetti distorti e un senso del ritmo sconosciuto fanno di questo libro l’apoteosi del trash. E la cosa brutta è che “Amore 14” non è una storia ironica, una versione romanzata alla scary movie, insomma, ma vuole seriamente essere uno spaccato del mondo dei teenagers moderni. Sapete che vi dico? Penso che Moccia non abbia mai letto i libri di Terry Pratchett, tanto per citare solo uno dei tantissimi autori la cui narrativa è dedicata a un pubblico di giovanissimi. Adesso voi direte che  quelli son Fantasy per ragazzi mentre questo non lo è. Eppure...


Eppure un libro come "Amore 14" che descrive come complicatissimi e degni di un drago i mobili IKEA quando l'IKEA fa mobili a prova di deficiente (ma evidentemente non a prova di Moccia) comincio a pensare davvero di definirlo Fantasy, ma nel senso dispregiativo del termine. Perché non si possono descrivere adolescenti candidissimi ma pronti a fare fisting in cinque minuti, imbecilli che si gettano dal secondo piano tra le risate e le affettuose ramanzine degli insegnanti, perle su quanto sia brutta la droga, l’alcol e le scritte porno sui muri in un modo che descriverebbe solo un chierichetto alla domenica, far credere che sia semplicissimo in un negozio di telefonia affibbiare una scheda sim a un altro o in una libreria ottenere informazioni riservate solo perché ti innamori di un tizio! Se non è fantasia (distorta) questa, non saprei come definirla. 


Ma ecco spiegato il mistero: "Amore 14" e altre pubblicazioni come questa sono in realtà tentativi di una civiltà aliena per controllare il mondo partendo dalle menti più fragili, quelle dei giovanissimi. Alieni scemotti, però,  digiuni di vita terrestre, col cervello in panne e con manie di grandezza!



Massimo Valentini





lunedì 5 settembre 2011

E alfine uscimmo a riveder le stelle...





No ragazzi, non parleremo di Dante. Il titolo di questo post si riferisce a un altro libro di cui abbiamo parlato, un libro sul quale avete fatto domande e richieste ed è giusto che adesso sappiate che l'attesa tra qualche mese finirà.  Già perché “Primus, l’uomo che sognava di vivere, che come sapete fa parte della mia Seconda Generazione, è stato selezionato per la pubblicazione e nei prossimi giorni dovrei ricevere nuove comunicazioni relative al contratto e al modus operandi che la CE intende adottare per il progetto. Ok, sono contento, sarebbe inutile e ipocrita negarlo, ma il mio stato d’animo non si spiega solo con la pubblicazione in sé, ma anche perché questo romanzo segna una svolta nel mio modo di scrivere.


Una svolta che se da un lato è debitrice nei confronti della mia Prima Generazione dall’altra si distacca dal filone del Fantastico tradizionale per approdare a lidi che non hanno nulla a che fare con il Fantasy e il Weird classici. Per correttezza non posso ancora rivelarvi di quale CE si tratta perché siamo davvero agli inizi, ma questo blog è uno spazio dedicato a voi, un luogo fatto di pixel che ha il solo fine di parlare con voi lettori o semplici curiosi di libri, recensioni reali (quindi non lecchinate) arte letteraria & cinematografica. Ecco perché volevo condividere già adesso questa notizia con voi lettori. Sapete che la mia Seconda Generazione non è/sarà composta quasi soltanto da racconti come la Prima, ma da romanzi. Libri che quanto a tecnica e argomenti sono uno diverso dall’altro, tutti abbastanza distanti da ciò che finora ho pubblicato. E dannatamente più corposi, anche. Quest’ultimo è il motivo che mi ha fatto cercare altri lidi dove proporli perché la 0111, di cui peraltro sono soddisfatto, non accetta testi più lunghi di 500.000 caratteri e “Primus” ne ha 800.000.


Ovviamente anche questa nuova Casa Editrice è assolutamente No-EAP, come poi è giusto che sia per pubblicare davvero, cioè con un’attenta valutazione qualitativa del testo. E, devo dire, la valutazione di “Primus” si è protratta per quasi un anno. Ho avuto altre possibilità di editor (e agenti letterari) che avevano letto la sinossi e i primi capitoli, ma finora avevo sempre risposto negativamente perché non mi convincevano distribuzione, la qualità complessiva dei libri, la possibilità di seguire e migliorare i testi attraverso un buon editing. Questa C.E. milanese, invece, di medie dimensioni, vanta una politica di distribuzione di ottimo livello e arriva in Svizzera con una certa facilità. Segue i propri autori passo passo dedicandogli un attivissimo ufficio stampa. Invia copie omaggio a testate e siti, prevede un progetto grafico serio e, dulcis in fundo, è distribuita dalla A.L.I., che poi è la garanzia di una distribuzione seria e competente.


Tutto ciò fa ben sperare che la distribuzione di “Primus” possa rivelarsi capillare. Ho avuto modo di leggere un paio di libri da loro editi e devo dire che vantano buone collane sia come qualità delle storie che come confezionamento dei libri. Con una mail sobria e senza inutili orpelli mi hanno informato di aver apprezzato il romanzo, ma probabilmente potrebbero esserci ripensamenti sul titolo. Che io sappia svolgono un eccellente editing, come poi è d’obbligo per una CE che abbia certe ambizioni distributive. Non vedo l’ora di cominciare a cooperare sul progetto anche se immagino non avrò molta libertà nei riguardi della copertina e non potrò (forse) scegliere chi scriverà la prefazione al volume. Non allarmatevi: è una normale divisione dei compiti. Quando lo scrittore firma il contratto con un CE firma in realtà anche un piano d’azione relativo al proprio libro.


Se l’Editore è piccolino molto probabilmente gli consentirà di scegliere immagini di copertina e altri dettagli, ma quando il dialogo è con una CE di medie dimensioni, copertina e altri aspetti grafici sono di competenza delle figure che nello staff editoriale si occupano della grafica dei testi (e quindi non solo della copertina, ma anche della scelta dei colori, dei caratteri, della disposizione del titolo, ecc). Allo scrittore, invece, sarà affiancato un editor che controllerà punto per punto il testo alla ricerca di eventuali difetti da eliminare o sezioni da migliorare. In questa fase è fondamentale che l’editor sappia il fatto suo perché gli aspetti da guardare per un romanzo, specie se complesso come “Primus”, sono molti. Insomma scrivere un libro è solo il primo passo di quel processo complicato ed eccitante che porta alla sua pubblicazione.


Dal canto mio, e lo dico senza pretese di grandeur ma solo ciò che penso, “Primus” è un vero e proprio primato. Questo romanzo sarà allo stesso tempo il mio sesto titolo pubblicato, il più complesso, il più folle e il più creativo. Mi auguro che una volta in libreria possa piacervi come e anche più dei miei precedenti libri. Perché siete voi lettori che, in un certo senso, avete fatto in modo che questo sogno diventasse realtà. Ah, un’altra cosa… “Primus” sarà il primo di una serie di tre romanzi che, sebbene indipendenti uno dall’altro avranno in comune i personaggi. E infatti “Sensum”,il romanzo che sto scrivendo adesso, ne è praticamente il seguito; ma questa, come si dice, è un’altra storia…



Massimo Valentini



N.B.:ho letto attentamente i vostri commenti relativi a possibili recensioni di certi libri commerciali. Mi sembra giusto accontentarvi almeno una volta e pertanto ho deciso di recensire un libro di Moccia. Scegliete voi quale.