Miei cari lettori e lettrici, vicini e lontani, benvenuti a questo nuovo post. L’argomento di oggi è duplice nel senso che non riguarda un romanzo o comunque solo lo “scrivere” inteso come letteratura ma anche la filmografia. Il perché è presto detto… Ho visto il recentissimo “Amabili resti” (The lovely Bones”) film che come molti di voi sapranno è stato tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold di cui sono riuscito a leggere una versione, diciamo, condensata. Sebbene debba dire che l’autrice ha composto per questo romanzo una trama in verità non originalissima, si lascia leggere con piacere e, soprattutto, non presenta grosse pecche strutturali o di trama. Ora voi vi chiederete, perché parlare ANCHE del film e non solo del romanzo, essendo questo il blog di uno scrittore. Il motivo risiede nel fatto che è sempre utile evidenziare le differenze qualitative tra un romanzo e il film che ne è stato tratto anche perché il cinema è la cosiddetta “settima arte” e purtroppo anche questa è bistrattata, in tempi bui quali quelli in cui viviamo. In effetti, calando un velo pietoso sulla maggior parte del cinema italiano attuale (quasi mai tratto da libri, per di più…) e concentrandoci sulla produzione di oltre oceano, ho sempre trovato interessante comparare romanzi e film da essi tratti per scoprire come la maggior parte delle volte i film siano sempre inferiori alle loro “ispirazioni cartacee”. Difetti del video? Impossibilità di trasporre la ricchezza di un romanzo in poco meno di un paio d’ore di pellicola? Sicuramente è una delle cause. L’altra, però, risiede nell’indiscriminato potere degli sceneggiatori che ben di rado cercano soluzioni originali, preferendo puntare sugli effetti speciali piuttosto che sulla storia. Ad ogni modo sono molto pochi i film che seguono fedelmente il “copione” originale del romanzo. “Alien”, ne è un esempio (anche se non mancano alcune scene NON presenti nel film). “Il vecchio e il mare” di Hemingway ebbe come trasposizione cinematografica un film interpretato dall’allora famosissimo Spencer Tracy; una pellicola che fu una copia fedele all’originale. “2001 Odissea nello spazio”, tratto da un racconto breve di Arthur C. Clarke (“The sentinel”) fu invece il primo caso di sceneggiatura scritta di pari passo con il romanzo. Clarke, infatti, pubblicò il suo omonimo romanzo subito dopo l’uscita del grande capolavoro cinematografico. E come dimenticare “Blade Runner” tratto da “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” di P. K. Dick? Un raro esempio in cui il film è migliore del romanzo è, a mio parere, “Le pagine della nostra vita” tratto dall’omonimo libro di Sparks. Devo dire che la lettura del romanzo mi ha deluso ma il film, beh, è davvero bello come pochi (e infatti è uno dei miei preferiti…). L’elenco è lungo e potremmo continuare all’infinito con il risultato di farvi du palle così e non parlare di “Amabili Resti”. E allora andiamo a incominciare partendo dal romanzo. Susie Salmon è una ragazzina stuprata e uccisa da un killer seriale, ed è la protagonista di tutta la storia che infatti racconta in prima persona soffermandosi con precisione sugli avvenimenti seguenti alla sua morte. La scrittrice è abile nel tratteggiare una sorta di Paradiso chiamato “Il Cielo” dal quale la protagonista vede i parenti traumatizzati, mentre il suo assassino si prepara a uccidere di nuovo. Susie è generalmente incapace di interagire direttamente con la sua famiglia e nelle rarissime volte in cui i due mondi “combaciano” la trama è costruita in modo da lasciare sempre il dubbio che tale “incontro” sia avvenuto. Diciamo subito che il romanzo non è un capolavoro del genere (ha però riscosso un grande successo in patria) e le immagini fantastiche che l’autrice tratteggia sembrano avere una ricchezza inferiore alla pellicola (almeno a parere di chi scrive) ma resta il fatto che la Seabold è comunque lontana anni luce dalla faciloneria di certe autrici nostrane specializzate in Fantasy (infatti, il romanzo E’ UN FANTASY vero e proprio) e il suo stile è godibile quanto basta per non rimpiangere il prezzo del volume. (che, tra l’altro, non è neanche un mattone da 800 pagine…) Nel film di Peter Jackson il Paradiso Personale di Susie diventa una sorta di Limbo dove lei cerca in tutti i modi di non far sfuggire il suo assassino alla giustizia. La regia, pur non eccezionale, è abile come un’elegia, capace di recuperare lo spirito di una famiglia a pezzi per la perdita di una figlia poco più che adolescente. Jackson fa un salto nei suoi trascorsi di regista fantasy come “Il Signore degli Anelli” e questo si vede nelle bellissime immagini del Limbo, riprodotte in CGI (ma in modo decente e credibile) e negli stacchi temporali tra la vita-non vita di Susie e quella “terrena” del padre che continua la sua personale ricerca dell’assassino. Mark (il padre della ragazzina) la cercherà infatti per anni, seguito con instancabile zelo dalla figlia morta che non esita a inviargli piccoli segnali di una presenza mai del tutto sopita. La figura della madre, invece, si dimostra poco caratterizzata dal regista anche se la stella del film è certamente Susan Sarandon che qui dà prova di una straordinaria recitazione in chiave quasi semiseria (è la bislacca suocera del marito di lei) Ora, sia chiaro: questo film a me è piaciuto anche se, da buon scrittore, ho la pessima abitudine di guardare i film come se fossero romanzi individuandone eventuali prologhi, storie, capitoli, epiloghi e chi più ne ha più ne metta. Ripeto: mi è piaciuto ma, e questa è naturalmente un’impressione personale, il film non decolla più di tanto. La bellezza di certe immagini fantastiche non riesce a sollevare le figure degli attori da una certa piattezza di fondo, evidentemente stereotipata, come quella dello stesso Stanley Tucci, maniaco seriale dall’aspetto mite e gentile che ha come hobby (e forse lavoro) quello di costruire bellissime case di bambole. Ecco, qui sta il difetto del film: la scarsa introspezione psicologica dei personaggi. Chi ha avito modo di leggere le vite di tanti SK saprà che spesso questi mostri umani hanno un aspetto insignificante (senza maschere fatte di pelle umana alla “Venerdì 13” per intenderci) ma ovviamente il loro vissuto è molto più profondo di quello delineato per il serial killer del film in questione. Così è per la madre di Susie, una donna abbastanza meschina in quanto pianta baracca e burattini per fuggire dall’ossessione del marito di scovare l’autore del fattaccio. Il finale è poetico (non struggente…) e ben fatto e sono molto belle le frasi che Susie dice, tratte direttamente dal libro. Diciamo subito che il film non supera il libro però sembra “quasi” ricostruirlo tra frammenti in cui si coglie l’emergenza affettiva e quei luoghi che la voce fuori campo di Susie ricomprende come in un eterno ritorno senza ritorno esemplificato dal fatto che la polizia NON riuscirà a scoprire il Serial Killer che nel film rimane ucciso per un volere del Destino (letteralmente) quasi una legge del contrappasso dantesco le cui possibilità e poteri sono superiori alle decisone umane, giuste o ingiuste che siano. Nel complesso assegno un bel “8” ma con riserva. Quella, cioè, che se avete visto o intendete vedere questa pellicola non dimenticate di leggere ANCHE il romanzo la cui parte migliore è certamente il capitolo finale dove gli “amabili resti”, il ricordi di una vita troppo breve eppure vissuta con tutta la gaiezza della fanciullezza, ci ricordano le uniche cose che possiamo portarci dietro dopo questa grande avventura chiamata vita: i sentimenti. Sono questi, infatti, i soli valori che rendono amabile il nostro vissuto!
Massimo Valentini