Come sapete il
vecchio detto di popolo di artisti, santi e navigatori è tipico del nostro
Paese. Non è affatto raro incontrare, sulla Rete, domande e risposte,
tipicamente su Answers, di persone che chiedono ingenuamente trucchi e
dritte per scrivere un libro. Una richiesta che fa il paio con le velleità
canore che furoreggiano ovunque, come testimoniato anche dai soliti,
onnipresenti reality arrivati alla mille-millesima edizione su tale falsariga.
Lasciando perdere il mondo del canto, che non è di nostra competenza,
sembrerebbe però che l’Italia sia un paese di aspiranti scrittori, e che molti
di questi sono adolescenti. Ricordo che, anni fa, un pomposo Maurizio Costanzo,
dal palcoscenico del suo omonimo Show, presentò al pubblico una scrittrice che
definirei iper-baby (una bimbetta di pochi anni) che aveva pubblicato il suo
primo libro. Alla domanda del cosa pensasse del libro che, se ricordo bene, inneggiava alla vita, ella rispose: “La vita è un
raggio di sole!” e giù applausi come se piovesse. Tornando a tempi più recenti e
al solito Answers, domande del tipo “come si scrive un libro?” o “Salve, vorrei
scrivere il mio primo Fantasy. consigli?" oppure "Ho finito di leggere Tolkien e i libri della super-stra-mega-fantastica Licia! Adesso vorrei scrivere un romanzo io... 10 punti a chi mi
risponde, please!” sono la norma.
Domande che si aggiungono ad altre, anche più gustose, che fanno: “Voglio
scrivere un romanzo… Però ditemi la trama!” come se questa si trovasse al
supermercato pronta e in offerta speciale. Non c’è nulla di kattivo a porre
domande del genere, se non fosse per un dettaglio: scrivere, anche se non
sembra a un osservatore superficiale, non è esattamente come bere un bicchier
d’acqua. Si può imparare, ma non si trova pronto su internet né si può
pretendere che qualcuno ti riveli la trama del secolo, magari senza vampirelli
mosci ed elfi yahoi tra i piedi. La cosa carina è che buona parte di tali
pretendenti al trono dello Scrittore Superfighissimo, mostrano poco rispetto
per la sintassi italiana, visto gli svarioni grammaticali degni del bimbominkiese più trito. Il
fenomeno è ormai di costume da quando, complici case editrici più o meno
furbette, sono diventati di moda i cosiddetti baby-scrittori. Ecco la
definizione tipica:
Un
“baby-scrittore è una persona, di solito non ancora maggiorenne, che riesce a
scrivere un romanzo (probabilmente Fantasy o urban-Fantasy) raggiungendo un
grande successo di critica e di pubblico. “Baby” è ingrediente importante per
garantire una freschezza immaginativa adeguata al progetto di trame innovative
e nuove, di grande seduzione letteraria”.
Traduzione per
il volgo:
“Dicesi baby scrittore una persona adolescente tra i
12 e i 18 anni che riesce a pubblicare il suo libro grazie a politiche di
marketing indovinate. Di solito, non ha mai letto un Fantasy (se pubblica un
Fantasy) o comunque scrive grazie a ispirazione fornita dalla Strazzulla,
dagli starnuti. Capita anche che scopiazz tragga ispirazione dal
solito Tolkien o, nei casi meno fortunati, dalla Troisi (quella che batte a
casaccio sulla tastiera per inventare i nomi dei propri personaggi). Le
conseguenze sul piano letterario sono disastrose, ma in compenso fa molto figo
perché a 14 anni pubblica con Mondadori e voi no... gnè gné, gnè!”
Già che ci sono comincio subito col dire che io ho iniziato a scrivere
a 14 anni, buttavo nel water ciò che facevo, ma ho cominciato il mio primo
romanzo a 16 anni. Ho però iniziato a vendere i primi racconti a 18 e ho
pubblicato per la prima volta, col mio nome, a 33 anni. Non ho intenzione di
usare il politicamente corretto perché non mi interessa farlo e so
distinguere l’educazione dal moralismo bigotto da quattro soldi; quindi
proseguo col mio ragionamento. Ciononostante, sono consapevole di essere umano,
e quindi di sbagliare, e non pretendo che queste note passino per Verità
Assoluta et Universale, ma sono comunque un mio pensiero ben “aiutato” dalla
mia esperienza letteraria. Ciò mi rende certo di non scrivere stupidaggini
Copertina di "Eragon" |
Storia:
La storia
del baby-writer cominciò con Paolini (Christopher) che alla bella età di 15
anni scrisse "Eragon", un romanzo che
capitò tra le mani di Carl Hiaasen, scrittore noir, che lo propose alla sua
casa editrice. "Eragon" divenne un caso editoriale da 25 milioni di copie. Al di
là del fattore C di Paolini, non possiamo dire che di Fantasy non ne masticasse,
anche se "Eragon" sembra pari pari la versione Fantasy di Star Wars… A latere
del suo straordinario successo ecco comparire la trilogia di
"Acqua-Silva", di Anselm Audrey (nata nel 1982) da noi edita dalla Editrice Nord.
In Francia, Flavia Bujor pubblicò a 13 anni “Le tre pietre”, edito da noi dalla
Sonzogno. La Perfida Albione, l’Inghilterra, è invece la patria di Catherine
Banner che a soli 14 anni scrisse “Gli occhi di un re” ed è stata
pubblicata da noi dalla Mondadori. Non sono tutti i casi di autori stranieri ma
solo un assaggio. In Italy troviamo la già citata Licia Troisi che poco più che
ventenne, allora, pubblicò “Nihal della terra del vento”, con Mondadori.
Un baby writer contento |
A
questo proposito, è curioso notare come i fan trovino notevoli cambiamenti di
qualità negli altri due libri della sua prima trilogia, quando invece si
trattava di un solo libro-mostro da migliaia di pagine diviso per motivi di
marketing dalla Regina. Luca Centi, classe 1985, scrisse invece “Il silenzio di Lenth” per la Piemme. Chiara
Strazzulla, sì, quella che scrive a starnuti, esordisce con le 800 pagine de
“Gli eroi del crepuscolo” marchiato Einaudi. Non dimentichiamo Alessia
Fiorentino, che ha scritto “Sitael, la seconda vita” per la Dario Flaccovio.
(nonché di prossima rece su questi lidi). Il già recensito “Bryan di bosco
quieto nella terra dei mezzi demoni” è di Federico Ghirardi, per la Newton
& Compton. Non sono i soli: ne esistono tanti, tantissimi altri. La domanda
che sorge è una sola: perché? Prima che qualche furbastro dica "dici così perché sei invidioso!” la
domanda in questione andrebbe in realtà scritta così: “I romanzi di questi
giovani scrittori sono validi?
No, e questo nel 90% dei casi. Molti di voi mi hanno mandato
almeno un romanzo di tali nomi che mi ha fatto letteralmente cadere le braccia.
Il difetto principale è che, nel caso di Fantasy, tutti, da Paolini alla
Strazzulla, da Ghirardi a Elisa Rosso, sembrano essersi ispirati al solito Tolkien.
Non ho mai notato trame nuove, personaggi diversi dai soliti, tematiche
differenti. Non solo: intrecci e stili sono anche abbastanza mediocri e questo
è un dettaglio di non poco conto giacché molti di questi romanzi sono stati
pubblicati da Big e non da casette editrici dove lavorano 4 persone. Spesso i
personaggi sono senza carattere (come Bryan di Ghirardi: un perfetto idiota! Il
personaggio, dico, non l’autore). Dobbiamo anche evidenziare che questi libri sono tutti di genere Fantasy e sono
fatti davvero col copia e incolla. Apritene uno a caso e vedrete la solita
cartina geografica disegnata col compasso e quella sarebbe, per loro,
l’ambientazione. Dal punto di vista dello stile, e quindi della tecnica, le
cose non sono esaltanti. Pov ballerini, infodump a manetta (tanto è Fèntasy!)
stili scadenti, personaggi che definire piatti sarebbe un eufemismo, definiscono
la vera essenza di questi libri e cioè che poco importa da chi sono pubblicati: sempre scadenti sono. Ma perché
pubblicare da giovanissimi? Perché non aspettare di migliorarsi, di continuare
a leggere sempre meglio e, di conseguenza, scrivere sempre meglio? La mia
spiegazione è che oggi si è tutti affetti da un terribile morbo: protagonismo.
Genitori che considerano i propri figli come geni anche se hanno scritto solo
tre paginette e che corrono a vantarsi con amici, parenti e a inviare lettere
agli editori. Se ci pensate bene la cosa non è diversa da quei baby cantanti,
così ben ammaestrati da media e genitori, che sgomitano tra loro sul palco di
una nota rete italica. Baby cantanti che parlano, anzi no, che cantano di
amore, sesso, filosofia ecc, in un modo che sinceramente considero
agghiacciante. Così è per quei genitori che chiedono al figlio/figlia: “quante
pagine devi scrivere, ancora?” o “Aspetta che chiamiamo zio X che ha contattato l’editore Y perché sei davvero bravxxm!!!!” Ovvio che dal canto suo, il
baby scrittore crederà davvero di essere Poe, magari senza sapere chi era poi,
stò Poe! E gli editori? Beh, per loro è
marketing e quindi guadagno, vi pare? Ignoreranno il massacro della lingua
italiana, si faranno beffe della trama e pubblicheranno il giovane esordiente
con una minima passata di editing (leggete uno qualsiasi dei libri della Troisi
e vedrete…). In libreria, se è una Big, il libro ostenterà con orgoglio la
fascetta che recita: “capolavoro scritto solo a N anni…” e subito una marea di
pubblicità, seguita dalle recensioni entusiaste di tutti i lecchini critici
compiacenti, mentre il pubblico poco specializzato berrà con entusiasmo la
balla dei milioni di copie venduti. Non credo che quello descritto sia un panorama
immaginario: è sufficiente guardare alla marea di nuovi libri pubblicati ogni
anno e l’ego degli autori pubblicati che non accettano la minima critica alle
loro opere. Adesso, già vedo le critiche di chi taccerà chi scrive di
“invidia”, “kattiveria” e “arroganza” e bla, bla e bla, il fatto è che per
giudicare un libro servono tempo (per leggerne tanti), voglia (per fare la
stessa cosa senza guardare sempre e solo la televisione) e competenza (ovvero
una testa che funzioni scevra da idiozie perbeniste da quattro soldi) E prima
che lo dicano altri lo faccio io: Ho pubblicato finora sei libri, nessuno a pago anche se non ho mai pubblicato con Mondadori o con
l’Einaudi, ma con piccole case editrici. Voi sapete che un altro mio libro è prossimo alla pubblicazione e, se Althaira mi aiuterà, così sarà sempre.
Writer autentico al 100% |
No, non sono invidioso e no, non voglio
essere ricco, famoso e amato dalla figa. E non sono contro la gente che ha la passione di scrivere, sia chiaro: preferisco vedere gente che scrive, Fantasy, SF o quel che vuole, invece di sparare stronzate alla
Lapo Elkan, di ubriacarsi, o di sbavare
all’uscita dell’ultimo modello di supertelefonino che fa figo. Solo, quando arriva il momento di pubblicare, magari con un
editore NON EAP, chi scrive, baby o meno, diventa appunto un autore pubblicato, cioè ha
lanciato verso il pubblico un documento. Come tale deve scrivere libri
leggibili, non ciofeche. E no, non conta con chi hai pubblicato, né quante copie
hai venduto grazie alla pubblicità. Perché, e lo dico sinceramente, non mi
serve l’Einaudi o la Pinco Pallo Editore per capire che i libri di una
qualsiasi Melissa P sono merda allo stato puro. Quel che serve è la voglia di scrivere per davvero e per farlo, come diceva un fesso di nome Kubrick, serva il tempo che serve. Volemose bene
Massimo
Valentini