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sabato 18 giugno 2011

Le mie parodie: Gli anni della Fenice Flambè



Prologo





Amici e amiche, lettrici ed esaminatori di testi tutti, bentornati! Oggi ho deciso, complice una buona dose di birra Baffetti, di scrivere una recensione semiseria, come del resto ormai mi chiedete da millemila anni… Comunque no, non ho intenzione di scrivere nulla su Faletti, Troisi, Moccia, Meyer… Tempo sprecato, in fondo... Quindi, per chi osa dire - tremendo dictu – che io non dileggerei mai un Libro Vero, badabem, badabim, badabam, parlerò della prima versione di una vera pietra miliare della SF distopica: Fahrenheit 451. Ovvero:



Gli anni della Fenice Flambé



Trama: Guy Montag è un milite del fuoco al contrario. Lui i fuochi non li spegne, li appicca e lo fa con una strana arma chiamata Salamandra del Potere, ovvero una spada laser a kerosene (prototipo della spada laser di jediana memoria) che ricorda vagamente un simbolo fallico. Armato della sua Salamandra passa il tempo ad appiccare il fuoco a destra e a manca, urlando come un pazzo e aiutato da questo suo esimio lavoro da altri benemeriti difensori del Sapere. Il suo è il mondo dell’abbondanza, dove tutto è un gioco e quindi perfetto e senza patemi. Infatti, nel mondo di Montag, tutti sono felici e passano il proprio tempo a guardare cazzate in tivvì. Le case, tutte villette carine su due piani, sono ignifughe ma, stranamente, sono bruciate senza problemi dalla cricca di Montag. In nome della massima libertà di espressione, libri, riviste e qualsiasi cosa possa veicolare il sapere sono banditi, mentre sono incoraggiati i reality show e la spettacolarizzazione di qualsiasi attività umana, anche della guerra. 

Guy e i suoi colleghi, tutti uomini di sani principi morali come bruciare vecchiette e distruggere famiglie, sono molto bravi in quello che fanno e, soprattutto, non fanno né si fanno mai domande, tranne qualche canna ogni tanto. Brava gente, in fondo. Ma quando la moglie del nostro eroe, Mildred, inghiotte per sbaglio mezzo chilo di codeina mista a valium scambiandolo per zucchero, Guy comincia a pensare che forse, nella sua vita, ha sbagliato praticamente tutto. La trova ancora viva, e più intelligente di prima (la roba ha infatti spazzato via quanto rimaneva dei suoi neuroni funzionanti a Soap e Fiction) e finalmente decide di chiamare un’ambulanza. Si tratta di una delle massime scene del romanzo: due paramedici stronzi gli arrivano a casa e, fumacchiando marjuana, fanno ingollare alla mogliettina un tubo di plastica per via orale col quale le tirano fuori tutto il sangue marcio, un po’ di frattaglie e qualche sospiro di piacere.

Il giorno dopo, come se nulla fosse, trova Mildred che colazioneggia in cucina con la sua solita faccia da trota lessa e lo sguardo assente di chi si è appena sparato tre pere di coca purissima. E dato che si tratta anche di una donna dolce e vivace, si limita a guardarlo storto indicandogli dove sedere. Montag la guarda, indeciso se bruciarla all’istante o andare a mignotte con Topo Gigio, ma poi decide che anche lui ha fame. Ricorda che un giorno non lontano di qualche anno prima si sono sposati ma non ricorda il perché così le pone la fatale domanda:




Lui: “Ehm, cara… ricordi quando ci siamo sposati?”

Lei: “Chi? Cosa?!”

Lui: Ma sì, quando ci siamo promessi amore eterno…”

Lei: "Ah, sì, Amore Eterno! Lo danno sul primo Satellite questa sera. Parla di una Lady che lavora come spia per una potenza straniera. Lei è troppo triste, poverina!, così decide di dare un senso alla sua vita e di far fruttare la propria intelligenza col lavoro manuale.”

Lui: “Non si tratta della vita di Nicole Minetti…”

Lei: “Allora non rompere. E poi chi ti conosce?”

Lui: “1, 2, 3, 4, 5, 6…”

Per amore della patria Montag decide di andare a lavorare, così dà fuoco a un paio di “Guerra e Pace”, qualche “Anni senza fine” di Simak e soprattutto distrugge ogni prova che l’uomo discende dalle scimmie: “Il mattone di Ciao Darwin”. Salva, al contrario, Il “Giornale di Sallusti”, “Le caccole di Marylinda P” e il più classico dei romanzi horror, “Le poesie di Herr Bondi in 4 d”. A sera incontra Clarisse, dolce ragazzina rompiballe, che a suon di radicchiette e pallose opinioni su quanto sia sterile la società gli fa riscoprire le gioie del sesso platonico.

Così, mentre Mildred e quelle cerebrolese delle sue amiche chiacchierano di quanto sia bello non fare una cippa dalla mattina alla sera guardando solo la tv, Montag comincia a capire di essere una colossale Testa di Nerd. Folgorato sulla via di Damasco inizia allora a bruciare i libri dell’Estrema Sinistra e quelli dell’Estrema Destra con un unico falò, regala un calcio in culo a Mildred e scappa dal capitano Beatty, suo comandante (nonché ammiratore segreto) rifugiandosi tra le amorevoli braccia di un vecchio professore rincoglionito di nome Faber.


Questi gli insegna le gioie dei libri e scioglie anche vecchi enigmi grazie alla sua sapienza infinita facendogli capire che Melissa P è ignorante della sua stessa materia, non capendo una Cippa, Faletti capisce di Gialli quanto un Babbuino col pennello in mano e Federico Moccia sia in realtà un alieno pedofilo.


Ma quando Beatty, grazie a quella stronza di Mildred, gli ordina di distruggere la sua stessa casa con la Salamandra del Potere, Guy decide di tirare fuori le palle facendosele restituire da Faber (noto omosessuale di provincia) e uccide il suo stesso boss col serpentone di fuoco (che Lady Gaga chiamava “Aleandro…”). Dopo l’omicidio Polizia, vecchi, nerds, casalingue disperate, politici e anche tu che leggi sono/siete reclutati dalla Città a dare la caccia all’Omicida numero 1, il milite che ha tradito la propria patria.


Montag è inseguito anche dal Segugio, una macchina simile a un ragno con la faccia di Emilio Fido che lo insegue tentando di ucciderlo col suo pungiglione velenoso. A questo punto si vede quanto proprio lui sia il protagonista. Infatti, con delle clamorose botte del fattore C(ulo), riesce a raggiungere un manipolo di tizi con l’hobby di ripetersi uno con l’altro i libri imparati a memoria. Col loro aiuto decide di restituire all’umanità il Sapere scomparso.


Recensione:  La storia è praticamente la prova di due cose: o Ray Bradbury aveva inventato la macchina del tempo o si faceva dalla mattina alla sera di Coca & Vodka in quantità industriali. Il motivo? Beh, avendo praticamente descritto il mondo di oggi, il dubbietto salta fuori, che dite? La società che descrive è malata, apatica, passa il tempo a tracannare drink di pessimo gusto e a guardare la Super Tv Onnipotente a Tutta Parete senza MAI leggere un solo libro che non siano i fumetti.


La società è quindi composta da nerd brufolosi persuasi di essere geni solo perché firmano gli assegni di Mamy & Papy col loro nome e non con la X, e di gente convinta che Mastro Lindo sia il vero nome di Mariastella Gelmini. Come ho detto parliamo di un romanzo distopico: e infatti notiamo la differenza tra la fiction letteraria e la realtà. In Itaglia, per esempio, non c’è bisogno di dare fuoco alla carta stampata che erudisce, essendo effettivamente scomparsa.


Il film


Un certo Francoise Truffò, o qualcosa del genere, dovrebbe aver tratto dal romanzo un film semiserio, ma si narra che non lo avrebbe visto nessuno. Notizie dell'ultima ora, tuttavia,  affermano che avrebbe visto la luce il primo ciak di un Kolossal Italico come non se ne vedevano dai tempi di Anche gli Angeli mangiano Fagioli con un cast d’eccezione scelto da un regista d'eccezione. Federico Moccia:










Ecco il Sommo Maestro impegnato a riflettere su quali Stelle di Prima Grandezza far recitare nel suo ultimo film. Notare l'espressione assolutamente concentrata.

Dopo innumerevoli litigi, tira e molla e anche palesi e clamorosi voltafaccia del Sommo pare che la Casa di Produzione Trangugia e Div-oora abbia deciso di non badare a spese raccogliendo il meglio del merd, ehm, meglio in ambito cinematografico:

 
Gay Montag: Kaz De Can


Mildred Montag: Amichetta di qualcuno (politico o cinematografico non importa)


Capitano Beatty: Cristian De Sica (detto “Delicatissimo”)


Una frappa di zoccole adolescenti assortite per dare alla pellicola un tocco neo-decadent-realista (perché realisticamente incapaci di recitare in qualsiasi film che non sia un porno)


Ecco la nuova stella del cinema italico in tutta la sua meravigliosa arte recitatoria. La ragazza, abile nei giochi di ruolo, anche a più voci, pare sia la classica scoperta cinematografica degli ultimi tempi.









Sembra che anche il ministro Bondi abbia cercato di lavorare in questo ennesimo carciofo-lavoro del Sommo, come del resto prescrive il suo lavoro di Cultore della cultura, ma inutilmente. E non sappiamo perché!


(qui lo vedete nell'atto di chiedere il ruolo di Montag)










Epperò Bondiman sarebbe accreditato per il ruolo ufficiale di Uomo Ombra del film. Si aspetta Cannes per proporlo come prodotto Neo-realista. Come si dice, ai posteri, l'ardua sentenza.

Massimo Valentini






venerdì 10 giugno 2011

"Io sono Helen Driscoll", recensione film e romanzo



Ed eccoci arrivati a un nuovo appuntamento! Questa volta vi parlerò di un altro romanzo di Matheson e, come già successo per Io sono leggenda, già che ci sono vi stilerò anche la recensione del film che ne è stato tratto. Prima però intendo ringraziarvi per l’affetto e la simpatia che non mancate mai di mostrarmi attraverso questo nostro spazio! E ora, signore e signori, cominciamo, và!



Io sono Helen Driscoll (romanzo)

Trama: Tom è un uomo come tanti con una moglie, un bambino di nome Richard e un altro figlio in arrivo. Una sera partecipa a una festicciola con i suoi soliti vicini e suo cognato Phil. Proprio lui, per dare uno scossone alla serata, dichiara di essere in grado di ipnotizzare chiunque per renderlo suo schiavo pronto a obbedirgli per qualsiasi cosa. E sarà Tom a essere scelto, anche se non proprio a cuor leggero. Dopo le prime scherzose schermaglie tra lui e Phil questi riesce a ipnotizzarlo, dando così il via al romanzo vero e proprio. Tom si risveglia tra l'ilarità generale e Anne, la moglie, gli rivela di essere stato protagonista di una serie di azioni grottesche e ridicole. Tornato a casa, ancora un po’ imbarazzato per l’accaduto, non riuscirà a dormire, ma ha l’impressione che in casa ci sia qualcuno, oltre a lui e alla sua famiglia. Alzatosi, va in soggiorno e vede la figura di una donna vestita di nero. Il giorno dopo racconta ciò che ha visto alla moglie, ma non è creduto e cerca di auto convincersi di aver vissuto solo un sogno straordinariamente vivido. La figura vestita di nero, però, è un autentico spettro, quello di Helen Driscoll il cui pensiero incrinerà pericolosamente i suoi rapporti con Anne prima e con gli amici poi, con il solo appoggio di un amico psicologo. Tom impara così a convivere col suo nuovo stato di medium capace di leggere sprazzi di pensieri, sensazioni e visioni del futuro. La notte non dorme e la paura di scorgere un’ombra lo assale, ma più passa il tempo più la patina di felicità che circonda la sua casa e il suo quartiere lascia il posto non all’orrore sepolcrale dell’oltretomba ma dell’ipocrisia umana. Tom scoprirà così che gli amici tanto amici non sono, che chi credeva fragile e in balìa di un marito violento ed egoista non è esattamente una vittima e lo stesso spettro, quello che in apparenza è una donna che lo guarda con occhi tristi, non è mai stata una persona ineccepibile. Il romanzo termina con la risoluzione del mistero e con la nascita della bambina che riporterà la vita di Tom e di Anne sui binari della semplice tranquillità familiare.



Recensione: La versione italiana di questo romanzo vede come titolo quello del presente post, ma fu solo un’operazione commerciale in quanto, come vi avevo già riferito, il titolo originale è A Stir of Echoes, cioè Un miscuglio di echi, assai più azzeccato con l’atmosfera del testo. Il titolo italiano si deve, come sapete, al successo di Io sono Leggenda dello stesso autore, romanzo del 1954, mentre la versione italiana di Io sono Helen Driscoll è del 1959 (precisamente era uno dei titoli Urania, il 206, poi ristampato di nuovo nel 1968). Attualmente il libro è edito dalla Fanucci. Come stile si nota subito un guazzabuglio non bellissimo da leggere a livello dei dialoghi al primo capitolo; vi confesso che all’inizio la mia impressione fu di cocente delusione. Mi riferisco al fatto che il primo capitolo, quello che vede il dialogo tra Tom e gli amiconi della combriccola, sembra davvero scritto da un autore alle prime armi. Cosa impossibile, ovviamente, ma tant’è! Continuando a leggere, però, ci si accorge che dialoghi e stile sono notevolmente buoni e a questo punto penso si sia trattato solo di una piccola carenza della traduzione. La trama si dipana in maniera lineare e senza bruschi salti temporali. A Matheson non interessa scrivere un racconto horror e si vede. Ciò che vuole è descrivere invece l’orrore celato dal perbenismo della società americana degli anni ’50 e ’60 e la trovata del fantasma di Helen è un escamotage per parlarne. Chi si aspetta sangue e rivelazioni paranormali ne resterà deluso e anzi, se lo si legge in tal senso, il libro in questione rischia di sembrare noioso; un giudizio che però sarebbe superficiale, se non guardiamo ai personaggi con l’occhio disincantato dell’autore. Tom è un uomo fondamentalmente onesto, ligio verso la moglie e il figlio, padre amorevole che riesce a non tradire Anne con la vicina sensuale e sfacciata, nonché amica di famiglia. Ma Tom è anche un ingenuo e grazie al fantasma riuscirà a scoprire le ipocrisie di una società che già allora appariva fasulla, se solo si indagava oltre il velo delle apparenze. Gli anni ’60, prima della conquista della Luna o la rivoluzione sessuale, erano “congelati” col mito del buon padre di famiglia, della brava e onesta moglie, del figliolo diligente ed educato, dei vicini socievoli e ben disposti. Tutti sapevano, in realtà, che spesso i buoni padri di famiglia arrivavano in casa e picchiavano mogli e figli, e tutti sapevano con quale gioia la vicina così virtuosa, tutta casa e Chiesa, era solita abbandonarsi ad attività sconosciute al marito.  E anche l’altra protagonista femminile, Helen Driscoll, è una donna colpevole di un rapporto incestuoso col cognato e di un appetito sessuale inarrestabile. L’etica e la morale di quegli anni esigevano che il comportamento in pubblico fosse senza macchia, ipocrisia denunciata volentieri da moltissimi letterati e artisti dell’epoca, prima tra tutti Philip K Dick! Come tutti i precursori, direi che la trama di Matheson è perfetta anche per i tempi odierni. Come fantasma, Matheson ha condannato Helen Driscoll a pagare per le proprie colpe, uccisa da quella che agli occhi del lettore potrebbe sembrare una colomba innocente e che invece è un mostro animato sì dalla tristezza, ma anche dall’istinto di vendetta proprio di chi cerca di distruggere la felicità altrui. Un mostro ho detto, ed è vero, ma anche una vittima del sistema e che pertanto non è mai condannata dallo scrittore, neanche dopo la follia che termina il romanzo. Matheson confeziona con questo libro un meccanismo a orologeria perfetto, forse un po’ lento, ma comunque efficiente. “Siamo tutti mostri”, farà dire a Tom a un certo punto, ed è questo il senso della storia: l’idea che, al di là delle apparenze di brave persone, ottime mogli e buoni mariti basta davvero poco per scoprire ciò che cela il candido velo dell’innocenza.






Echi Mortali (film, titolo originale: Stir of Echoes)




Trama: Girato nel 1999 da David Koepp e interpretato da Kevin Bacon fu tratto, come testimonia il titolo, da Io sono Helen Driscoll. Comincio subito col dirvi che mi è sembrato un buon film, anche se non molto fedele al romanzo. Vincitore del festival del film fantastico di Gérardmer, ha visto anche un secondo episodio nel 2007, non distribuito qui da noi (Stir of Echoes: The Homecoming) Tom Witzky (Kevin Bacon) è un operaio, marito e padre che vive una vita come tante, magari un po’ noiosa. Diversamente dal romanzo che è ambientato in California, Tom/Kevin vive a Chicago con la moglie Maggie e il figlioletto Jack. A una festicciola si farà ipnotizzare dalla cognata Lisa per dimostrarle quanto non creda al paranormale. La seduta funziona e Tom comincia a vedere inquietante visioni di una ragazza il cui aspetto non gli sembra essere quello di una persona normale. Ne parla alla moglie ma non è creduto ma non si da per vinto e continua a cercare indizi sull’identità della giovane. Jack, suo figlio, sembra vedere anche lui qualcosa del fantasma ma rispetto al padre mostra un’assoluta calma, come se quel che vede sia una cosa del tutto normale. Pian piano le tracce lasciate dal fantasma consentono a Tom di ricostruire la sua storia. La ragazza è Samantha Kozac, una giovane ritardata scomparsa tempo prima, ma Tom scopre che il suo destino non l’ha portata lontana: il suo corpo è infatti sepolto nella sua cantina. E saranno proprio i suoi vicini e amici, Frank ed Harry, a rivelarsi meno innocenti del previsto.




Recensione: Film ben girato e ottimamente interpretato da un Bacon che appare in ottima forma. Rispetto al romanzo, la pellicola perde un po’ l’intento provocatorio e sociale, ma acquista in rapidità di azione, cosa poi abbastanza ovvia, trattandosi di una trasposizione cinematografica. Nel 1999 il tema del fantasma che indica a un essere umano vivo dettagli sulla propria morte non era così comune come oggi e quindi la pellicola deve essere vista in tale ottica. Il tema dell’abuso sessuale, al contrario, cominciava già a essere letto riletto sulle pagine dei quotidiani ed ecco che la ragazza uccisa diventa la vittima innocente, per di più autistica, della cattiveria dei “normali”, cioè quelli che dovrebbero proteggerla. Che il film non sia provocatorio come il romanzo si evince già dalle prime scene, ma riesce comunque a conquistare lo spettatore grazie alla buona fotografia e a una regia che non appare mai fiacca. Ben girato e ottimamente sceneggiato, questo Stir of Echoes è un valido prodotto, forse non molto “nobile”, ma certamente non privo di una certa genuina dose di humour nero che non potrà non piacere.

 

Massimo Valentini
















giovedì 2 giugno 2011

Il Saggio dossier...




Per rispondere alle vostre domande relative al mio modo di scrivere il Saggio per conto del Giornale dei Misteri, ho deciso di presentarvi oggi alcune delle linee guida da me scelte per tale progetto. Ricordate che scrivere un saggio può essere esasperante e molto meno divertente di quanto si creda rispetto a un romanzo sebbene, se sappiamo il fatto nostro, possa comunque rivelarsi un’esperienza quasi divertente. Avrete già capito che con questo 116esimo post intendo parlarvi del Saggio (come vi anticipai qualche post fa…) e delle mie piccole noie e soddisfazioni che comporta scriverlo. E’ un modo per parlare con voi come se foste vecchi amici e raccontarvi una mia esperienza. Quando arrivai all’idea di scrivere questo libro non pensavo potesse rivelarsi così complesso; credevo, in verità piuttosto ingenuamente, di potermi basare sulle conoscenze già acquisite per integrarle con nuovo materiale ed eventualmente con immagini il più possibile chiare ed esplicative.






Tanto, mi dicevo, per scrivere un saggio non è necessaria l’ispirazione tipica per comporre un romanzo di un certo profilo, non serve trascorrere ore insonni davanti allo schermo, le idee sono già pronte, le cognizioni di base esistono già… Poi ho visto la luce (del giorno) e la cruda realtà: sia per l’argomento scelto, sia per la necessaria ricerca dello stile semplice ma allo stesso tempo preciso del testo, scrivere questo saggio non è affatto uno scherzo! L’ispirazione, sebbene diversa da quella necessaria per un’opera di narrativa serve sempre, la ricerca per evitare di scrivere cavolate è ovviamente più difficile poiché un romanzo, per quanto verosimile, non necessita di una precisione assoluta. Invece, se vuoi parlare della biogenesi, per esempio, DEVI conoscere l’argomento, devi aver letto e LEGGERE tanti altri libri, devi esporre le tue idee in merito che non siano né trite né raffazzonate.

La morale di tutto ciò è che sono circa sei mesi che sono impegnato con questo libro e ancora non è affatto finito. E’ proprio vero che nella vita non si finisce mai di imparare e questo è anche più vero quando devi scrivere qualcosa del genere. Però, come ogni esperienza che si rispetti, anche questa ti insegna diverse cose, la prima delle quali è l’umiltà che devi adottare quando ti avvicini al mondo dei libri. Eccovi pertanto caratteristiche, pagine e argomento del mio primo Saggio:

Titolo: “Il Soffio Vitale” (sarà previsto un sottotitolo, ovviamente!)
Pagine:  orientativamente 160
Casa Editrice: I Libri del Casato Editore
Genere: Saggistica
Argomenti: cosmologia, neurofisiologia, filosofia della mente, biogenesi, esperienze di pre-morte, astrofisica
Idea centrale: il sorgere e la nascita della coscienza e i tentativi di capirne la possibile esistenza attraverso gli argomenti già esposti.

Sono dieci i piccoli passi necessari che sono riuscito a individuare per scrivere un saggio. Eccoveli sinteticamente



Ricerca degli argomenti:

Quando parliamo di Saggi la parola ricerca è ovviamente superflua. Inizialmente pensavo che sarebbe stata sufficiente la mia collezione libresca, anche se debitamente aggiornata, ma invece mi sono convinto a contattare anche voci più autorevoli della mia che potessero offrirmi una visione chiara dei ragionamenti più complicati. Tutti voi conoscete la mia predilezione per i libri cartacei; la cosa è vera anche quando si tratta di fare ricerca, anche se non disdegno la rete. Attenzione però: chi pensa che per scrivere un Saggio “vero” (quindi non un documento scolastico che ha scopi ben diversi di un libro vero e proprio) il ricorrere a internet può essere utile per le fonti, la scelta dei testi da esaminare e in qualche caso per estratti (a volte anche notevoli!) pubblicati su siti affidabili. Ma il materiale per antonomasia che andremo a esaminare è sempre cartaceo. Quando poi capita che di buttare l'occhio su qualche estratto scaricato dalla rete dobbiamo sempre verificarlo per non scrivere sciocchezze. Per esempio, esistono siti medici dove le informazioni riportate sono errate. Un esempio per tutti: l’invito a consumare 50 g di fibra vegetali al giorno, presente su un certo sito medico che, per ovvie ragioni, non riferirò, quando invece la misura corretta si attesta sui 30/35 g. Quindi va bene Internet, ma solo fino a un certo punto!


Esame:

Leggere il materiale occorrente per seguire passo passo il proprio pensiero. Scrivere questo saggio mi ha fatto capire quanto, delle molte delle cose che sappiamo, facciamo, pensiamo ecc, dipenda dai libri. Faccio un esempio idiota: diamo per scontato che in Giappone si mangi sushi, che la radice quadrata di quattro è  due e che uno squalo balena sia un innocuo filtratore. Così se domani andremo in Giappone, se risolveremo un Integrale, se faremo spinning in Messico sappiamo già cose potenzialmente utili. Ma per conoscerle qualcuno deve averle osservate, scoperte, ci ha perso la vita, compilate, esaminate, pensate. Ed è sulle spalle di questo qualcuno che noi tutti, scienziati, curiosi e semplici profani, facciamo i nostri conti. Se risolviamo un’equazione è il nostro pc si scassa sappiamo già cos’è una radice quadrata, per esempio. E queste come tutte le altre informazioni le dobbiamo a chi prima di noi ha scritto, studiato, esaminato. Le nostre conoscenze sono comode: scoprirle è meno comodo!  



Brainstorming:

Questa è la fase che più si avvicina a quella, più artistica, dell’ispirazione necessaria a scrivere un romanzo. Come nel romanzo, anche per il Saggio sono lì  a fare disegnini, schemi, pensare, ri-ri-ri-ri-pensare (e gettare via!), cercare di capire perché il tizio A ha detto che F è uguale a G se G non sembra affatto dello stesso tipo di F! E magari capire anche che ciò che io pensavo su un certo argomento era errato e che sarebbe più utile cercare un altro Autore che abbia pubblicato sullo stesso argomento in modo da eseguire un confronto tra le varie versioni… Ok, direte voi, dove sta l’ispirazione? Beh, non certo in questo processo. L’ispirazione si verifica quando cerchi di pensare all’idea che vuoi esprimere e, sulla base di ciò che hai studiato e che sai, cercare di esprimerla al meglio!

Idea centrale del Saggio:
Per sapere davvero cosa dire quando si scrive un Saggio è necessario che la nostra idea ci sia chiara al 1000 x 1000. E’ praticamente impossibile pretendere di scrivere un Saggio se non sappiamo esattamente cosa dire. La stessa cosa non necessariamente vale anche per il romanzo. Molti Grandi non sapevano dove sarebbe andato a finire quel racconto o quel romanzo: lo hanno scoperto continuando a scrivere. Ciò che conta, in arte, è l’ispirazione che però non si presenta con calcoli e diagrammi ma con un’idea, magari una sensazione, che vuoi in qualche modo scrivere sulla carta. Un Saggio è diverso: ciò che scrivi deve sempre essere a un tempo rigoroso e ben calibrato altrimenti il testo non avrà alcun valore!


Esempi:

Prima di cominciare materialmente a scrivere un libro del genere serve SEMPRE eseguire schemi sintetici, elenchi, argomenti, descrizioni che ogni paragrafo deve mostrare a chi legge. E assicurarci che ciascuno di quei paragrafi mostra un ragionamento ben definito. Il difficile sta nel fatto che ogni paragrafo E’ un ragionamento finito ma deve collegarsi agli altri…


Prefazione:

Non è la fase più semplice, per niente! La prefazione ideale dovrebbe servire per catalizzare l’attenzione, presentare l’argomento e accennare il pensiero dell’autore. Somiglia, se vogliamo, alla sinossi del romanzo.


Ultimo capitolo:

Non è affatto di un riassunto, non è un tema né un saggio breve scolastico. A livello di concetto è forse il capitolo più difficile perché devi presentare non solo il tuo pensiero circa gli studi e i pareri degli altri autori da te citati ma anche una tua teoria, possibilmente “fresca” e non una sterile scopiazzata di quella di qualcun altro! 


Bibliografia:

Questa è semplice: l’elenco di libri che hai studiato per scrivere il Saggio… Evvai!


Note dell’Autore:

Come probabilmente saprete, il metodo standard è quello noto come Chicago che, semplificato, spiega come le idee di altri e le citazioni dai loro libri devono essere citate con precisione dal testo, secondo uno schema ormai noto: cognome, nome, titolo, casa editrice, luogo e anno di pubblicazione, eventuale numero di pagina.


Stile:

Non è allo stesso livello di un romanzo come sofisticazione ma questo non vuol dire che sia di importanza secondaria. Proprio perché è un saggio non dobbiamo  (se è un libro divulgativo come il mio…) anche annoiare chi legge con formule, diagrammi e frasi sibilline e ampollose. Il saggio non è la palestra delle dame mostracosce della tv o dei politicanti che devono raccattare i voti dai cittadini. Il Saggio è qualcosa di concreto, verificabile, affidabile, leggibile. Lo stile deve essere sì senza fronzoli, ma anche piacevole da leggere.


Massimo Valentini