Cari lettori siamo giunti al topic che aspettavate ovvero a quello in cui rispondo brevemente alle vostre interessanti domande! E andiamo a incominciare...
Margherita, da Pisa, mi chiede come potrebbe fare un perfetto sconosciuto, senza amicizie e senza passare il proprio tempo a zampettare in tv a pubblicare un libro (magari di valore). La strada è lunga e difficile. Se abbiamo scritto un romanzo, racconti o una raccolta di poesie, la prima cosa è NON aver fretta di pubblicare. Come regola generale dovremo mandare il manoscritto, ben leggibile, rilegato, completo di sinossi, una lettera di presentazione e una nostra biografia ad almeno un centinaio di editori diversi! Non intestardiamoci se molti non ci risponderanno neanche e non esultiamo se alcuni lo faranno e ci proporranno un contratto. I contratti vanno letti attentamente prima di essere sottoscritti. Ricordate sempre che un contratto non è un'offerta del tipo "prendere o lasciare"! Va esaminato bene. E comunque prima di poter trovare l'editore che fa per noi possono passare anche anni e scelte sbagliate. Abbiamo dunque bisogno di molta forza di volontà. Una cosa importante: controlliamo, PRIMA, se le Case Editrici che ci interessano pubblicano proprio il nostro genere di romanzo. Se, ad esempio, abbiamo scritto un giallo, sarà molto difficile che lo possa prendere in considerazione la De Agostini. Non tentiamo con le grosse Case Editrici. E’ probabile che neanche leggeranno il nostro manoscritto. Proviamo, invece, con le piccole e medie purché ci sembrino sufficientemente affidabili. E soprattutto, incrociamo le dita…
Marcello e Stella mi fanno la stessa domanda: come trovare un buon libro in una libreria distinguendolo da un libretto di poco valore? Premesso che in generale tutti i libri valgono e non valgono, direi che alcuni si riconoscono al volo. Se per libri di pregio intendiamo il romanzo che ci fa riflettere, la buona poesia, i racconti arguti e originali, l’unica è passare molto tempo in libreria, magari fornita, e tralasciare le ultimissime novità spacciate per grandi rivelazioni (inchieste, storie/verità, gossip politici et similia) e i manuali. Se davvero amiamo i libri li sceglieremo senza farci influenzare dalla pubblicità. Correremo il rischio di sbagliare da soli, frugando nelle librerie, nelle bancarelle di libri usati e sul catalogo degli editori, un giorno dopo l’altro, una libreria dopo l’altra. E’ questo il solo sistema valido, l’unico che rende possibile una libera scelta.
Sandra mi chiede se esistano sindacati per scrittori. La risposta è affermativa… a metà! In effetti i Sindacati degli Scrittori sono enti molto strani e tipicamente italici, ossia quando affermano qualcosa non sono immediatamente comprensibili. Infatti per costoro è scrittore solo chi pubblica un libro, anche insignificante, purché lo faccia con Rizzoli, Mondadori o una qualsiasi grossa Casa Editrice. Chi invece pubblica un’opera con una piccola Casa Editrice non lo è. Così, la velina tutta sorrisi che non sa dire due parole in italiano senza fare otto errori e pubblica le sue “esperienze di vita vissuta” con La Casa Editrice TAL DEI TALI sarebbe una scrittrice, chi invece da alle stampe un romanzo come “Ubik” con una qualsiasi casa editrice poco conosciuta non lo è. Quindi, per i sindacati io NON sono uno scrittore. Ed è curioso notare che per questi simpaticoni non è uno scrittore neanche tale Giuseppe Tomasi di Lampedusa, altrimenti conosciuto come l’autore de “Il gattopardo”, dato che morì prima che Feltrinelli gli pubblicasse il romanzo. Però gente alla Taricone, editi da Mondadori per essere usciti dalla “casa” più famosa d’Italia ed aver scritto (?) frasi del tipo: “l’obiettivo è scopare domani...” e “la figa che puzza fa schifo...” sono scrittori. Questo è un mistero che non ha nulla da invidiare a quelli mariani, con rispetto parlando…
Anna mi chiede come si proteggono dal plagio le opere inedite. La S.I.A.E. è nata per questo. Il problema è che le mie modeste finanze non sempre mi consentono di sborsare 200 carte per ogni racconto, e per “Quattro Ombre Azzurre” gli euro sono stati, quindi 800. Inoltre bisogna rinnovare la somma ogni anno. Se poi qualcuno ti ruba il tuo romanzo e lo pubblica in un altro stato come fai a sapere di essere stato plagiato? La cosa migliore, e più economica, è quella di fare un bel pacco con il manoscritto che si vuole proteggere, lo si porta alla posta e lo si spedisce a se stessi con ricevuta di ritorno. Avremo poi cura di chiedere all’impiegato di far apporre i timbri proprio sull’aletta di apertura della busta che, una volta ricevuta, NON apriremo per nessun motivo (neanche DOPO la pubblicazione). In questo modo, se qualcuno ci dovesse citare per plagio, o se scoprissimo che un editore ha dato alle stampe il nostro romanzo col nome di un altro avremo a disposizione un pacco, intatto, con tanto di data che attesti che quell’opera appartiene a noi.
Sandra ed Erica mi chiedono invece a cosa serva davvero l’editing. Per editing si intende una revisione del testo in modo da renderlo più scorrevole e leggibile rispetto alla versione originale. Badate bene: l’editing non deve stravolgere il testo modificando pesantemente la trama o aggiungendo capitoli interi. Un buon editing ha il compito di “limare” il testo in modo da renderne più agevole la lettura. In questa veste, tale servizio è addirittura necessario per qualunque romanzo o racconto. So che molti scrittori non amano l’editing ma, a mio parere, sbagliano. Finora non ho avuto la possibilità di far sottoporre a editing i miei testi perché le Case Editrici che mi hanno pubblicato sono piccoline. Ma credetemi: un buon editing è come la quinta marcia per una macchina: a certe velocità si “viaggia che è una bellezza”.
Miranda mi chiede a quanto ammontano le percentuali su ogni copia venduta per uno scrittore come me. E’ presto detto: il 10% del prezzo di copertina per ogni copia venduta. Alcuni grossi editori corrispondono anche meno, circa il 6%. Naturalmente il guadagno lo fa, da una parte, l’onestà dell’editore che ti dice esattamente QUANTE copie hai venduto e, dall’altra, la suddetta quantità di copie vendute.
Giada mi chiede se la Legge non debba proteggere dai plagi un’opera (e il suo autore) una volta che il suo libro risulti effettivamente plagiato. La risposta è si, naturalmente. Ma bisogna anche dimostrare che quella particolare opera è di un autore piuttosto che di un altro. Come ho già detto, la S.I.A.E. è la via più comune, ma il ‘trucchetto’ della raccomandata ha lo stesso valore legale A CONDIZIONE CHE NON SI APRA MAI IL PACCO IN QUESTIONE.
Miriana (da Cosenza) mi chiede cosa definisce un ‘libro’. Liber, libri è una parola latina e definisce un insieme di fogli, tenuti insieme da colla e rilegati, che recano parole scritte. Ma libri erano definite anche le pergamene in pelle di capra tanto care (e in uso) nell’antichità. Più precisamente, la parola in sé indica lo strato di cellulosa che ai tempi di Nerone & compagni si usava far essiccare per usarla come materiale di scrittura. Quindi la domanda di Miriana, che mi chiede se anche le tavolette di cera di un tempo fossero ‘libri’ è corretta!
Gabriella mi chiede se io i libri li sciupo o li mantengo immacolati. Un po’ di entrambe le cose. I libri a me più cari li consumo letteralmente e quando cadono a pezzi li ricompro perché non ne posso fare a meno. Per esempio, ho ricomprato le opere di Lovecraft almeno tre volte e penso proprio che lo farò una quarta perché ormai, a furia di rileggerli, ho quasi ‘fogli volanti’ in mano. Tanti altri libri li ho letti due o tre volte soltanto. Quanto ai miei, di solito, ne ho sempre due copie: una, da tenere immacolata, la seconda da… leggere! Elena mi chiede invece cosa ho provato nello scrivere un romanzo come “Ultima Thule” o racconti come “Logica di mercato”. Beh, che dire! Le sensazioni che mi hanno spinto a scrivere opere diverse sono ovviamente diverse da caso a caso. Più in generale posso dire che ogni volta che metto mano a qualcosa lo faccio per rispondere ad una mia specifica esigenza. Nel caso di “Logica di mercato” è stata la rabbia nell’apprendere la folle esistenza delle logiche che esistono dietro le grandi multinazionali farmaceutiche mentre, per “Ultima Thule” il desiderio di mettere su carta, dopo più di dieci anni, le sensazioni che provai in Antartide. Ricordate che un scrittore, quando scrive per se stesso e non per il mercato è come uno specchio: riflette ciò che vede, o sente, e lo rende al mondo trasformato lasciandovi la sua impronta personale, il suo stile. Un po’ come un pittore. Può voler rappresentare la donna della sua vita ma invece di dipingere gli occhi per come sono, diciamo blu, li colora di violetto e fa i capelli azzurri. Un’opera letteraria è come un’opera d’arte: è un pezzo del sentire dell’Autore e, come tale, è sempre una metafora della realtà. Se, invece, si scrive per il mercato, beh! Quella è tutta un’altra cosa e personalmente spero di non farlo mai! Samuele mi chiede come facciamo, una volta scritto qualcosa, a stabilire se sia valido o meno (magari facendolo leggere a parenti e amici). Anche qui bisogna fare una premessa: umiltà e semplicità non dovrebbero mai mancare in uno scrittore (e quasi mai è così). Parenti e amici loderanno spesso il nostro lavoro e non è detto capiscano di romanzi e racconti. L’unica sarebbe quella di avere giornalisti BRAVI sotto mano cui sottoporre il proprio lavoro, critici e via discorrendo. Più casalinga è la soluzione di far leggere il nostro lavoro al maggior numero di persone (fidate) possibili in modo da ottenere diverse opinioni, confrontarle e… proseguire da soli. Fabio mi chiede perchè non si pubblicano sempre gli autori senza contributo. Per moltissimi motivi. E la domanda potremmo stenderla, in modo da interessare anche altri lettori su un punto: che cosa è pubblicabile e cosa no? E’ certamente possibile che un’opera valida sia scritta maggiormente da autori non arrivati piuttosto che da quelli famosissimi, soprattutto se costruiti a tavolino. Detto questo, però, non esiste un parametro oggettivo su cosa renda un romanzo “buono” e cosa lo renda invece “scadente”, a parte quello che una volta si chiamava ‘buon gusto’. “Il nome della Rosa” si riconosce al volo, una volta letto, che non è un romanzetto insulso (magari un po’ troppo arzigogolato, ma il romanzo è buono e non lo dico solo perché porta la firma di Eco) così come si riconoscono al volo anche le opere leggerine che di certo non hanno valore artistico. Ma il mercato non premia sempre la qualità e spesso premia unicamente la vendibilità di un’opera. Poe, ai suoi tempi, girava da un editore all’altro che dichiaravano di non comprendere i suoi racconti. Kafka, idem. Aggiungete il fatto che oggi si stampano troppi libri e soprattutto troppi modi di dare piacere e non materiale di riflessione. Il mercato italiano è saturo di libretti e quelli che si salvano, spesso, non sono quasi mai pubblicati. Un lettore editoriale di mia conoscenza, ad una domanda sul perché esista la sua professione (così interessante ma curiosa) così mi rispose: “I lettori editoriali sono quelli incaricati dagli editori di leggere i manoscritti al fine di produrre e vendere libri. E non sono critici notissimi, esperti spaziali o professori universitari tutto cervello. I lettori editoriali sono gente comune, NON scrittori, che però rappresentino il target di riferimento cui si propone l’editore. I lettori editoriali devono dire perché tal romanzo potrebbe essere venduto una volta pubblicato. E mi è capitato di caldeggiare la pubblicazione di racconti e romanzi che, invece, in veste di critico avrei stroncato. La ragione si ritrova nel fatto che sarebbero stati vendibili ed era mio dovere segnalarli. Va da sé che secondo un modo siffatto di procedere, peraltro necessario se i libri vogliamo venderli, tutti i libri, di valore o meno, arte o meno, possono essere pubblicati o non pubblicati”.
Mirella: vuole sapere quale fosse la situazione editoriale italiana trent’anni fa. Beh, trent’anni fa non esistevano i reality e tutto un modo di rendere e vendere i libri. Si badava di più alla sostanza e meno all’apparenza delle cose, libri compresi. Gli stessi libri erano di maggiore qualità e con meno refusi. (oggi, neanche Case Editrici famosissime hanno libri perfettamente immuni da refusi ed errorucci vari). E c’erano meno scrittori (ma non meno lettori).
Martha, infine, mi chiede di raccontare i miei personali passi come scrittore. Non c’è che dire, cari lettori, quando mi fate le domande siete tosti! Non ho mai preso in considerazione l’idea di pubblicare sul serio se non quattro anni fa circa. Non mi sentivo all’altezza. Fu un mio amico, che faceva il direttore di collana, a spingermi a farlo. Da allora ho contattato diverse Case Editrice ed ho seguito esattamente l’iter che vi ho spiegato in questo topic. Molte mi hanno chiuso la porta in faccia, altrettante volevano soldi e ho rifiutato. Altre, invece, mi volevano pubblicare a costo di pesanti modifiche per rendere i testi più commerciali. Devo dire che con la 0111 Edizioni sono abbastanza soddisfatto, nel mio piccolo. E mi sono trovato meglio che in passato. Così ho deciso di continuare su questa strada e provare a pubblicare fuori dai confini regionali e, magari, fuori da quelli nazionali. La strada è in salita ed probabile che NON ci riesca. Ma ci provo e, intanto, continuo prima a sognare e subito dopo a scrivere. Scrivere è l’unico scopo della mia vita. Ma non chiedetemi il motivo perché non saprei rispondervi. Wilde diceva: “L’unico scopo dell’arte è la ricerca della Bellezza Assoluta, ma tutta l’arte è perfettamente inutile!” Lovecraft rincarava la dose affermando: “L’Arte è l’unica cosa che si giustifica da sé”. Quanto a me io non so se faccio arte, ciofeche o capolavori. So di essere uno scrittore, né buono né cattivo, che mette su carta i propri fantasmi esorcizzandoli in questo modo. E forse, dopotutto, mi ritrovo in una frase di Philip K. Dick: “Io sono il romanzo...”, ma volgendola per il mio personale modo di essere: “Io vivo il romanzo!”. Di più, davvero, non potrei dire…
Buone Vacanze e grazie di seguirmi in modo così appassionato! Ci rivediamo a settembre ma tornerò periodicamente sul blog per pubblicare eventuali vostri commenti! BUONE VACANZE A TUTTI VOI!