Questo è invece il primo capitolo del mio romanzo, "Ultima Thule". (ho omesso il prologo per ragioni di spazio). Se avete commenti da fare sono a vostra disposizione.
"Ultima Thule"
Primo capitolo
Non ho mai saputo perché alcuni facciano sogni più vividi della media. A me, per esempio, capita spesso di farne alcuni così intensi da provare l’impressione di assistere alla proiezione di un film estremamente realistico. E le sensazioni che provo quando sono in tali oniriche attività sono più profonde delle analoghe emozioni dei momenti di veglia. A volte capita che siano proprio i sogni a mostrarmi la strada verso un nuovo percorso schiudendomi spiragli che altrimenti non avrei osato ipotizzare. Così è stato, per esempio, quando decisi di andare in Antartide perché la mia decisione scaturì proprio da un sogno. Mi trovavo in una landa desolata dove il bianco aveva un candore mortale e dove tutto presentava proporzioni inumane e terrificanti. Un mondo dove il ghiaccio stendeva il suo dominio sul granito delle montagne le cui cime inviolate erano carezzate dai venti catabatici. Ricordo che mi svegliai tremando di una paura senza nome che mi lasciò fulminato da una strana eccitazione, una sensazione di dèjà-vu che mi sussurrava che avrei visto davvero quell’oceano di ghiaccio. All’epoca dei fatti che sto per narrare non avevo ancora raggiunto i 22 anni ed avevo subìto la perdita di una persona cara. Il mio solo desiderio era pertanto di fuggire dove nessuno, tra quanti mi conoscessero, avrebbe potuto ripercorrere le mie orme. L’arroganza della mia giovane età potrebbe forse costituire la base di una tale decisione, ma non fu la componente più importante. Probabilmente fu il mio senso di straniamento al mondo ed a tutto ciò che lo circonda a farmi propendere verso la volontà di partire, anche se ancora non avevo la più pallida idea di quale avrebbe potuto essere la mia destinazione. Così, quando mi presentai davanti al direttore del prestigioso Istituto Nazionale delle Ricerche, non sapevo ancora che avrei visto l’Antartide. Conservo un vivido ricordo delle emozioni contrastanti che provai quando mi fu detto che le sole spedizioni previste in quell’anno erano tre. Una prevedeva alcuni mesi da trascorrere presso l’osservatorio radioastronomico di Arecibo, un’altra in Medio Oriente sulle orme delle tribù del deserto ed una terza in Antartide. Tutte e tre prevedevano una durata massima, tra viaggio e studio, di sei mesi. La più allettante mi pareva senz’altro la terza opzione ma confesso che non mi sorrideva tantissimo l’idea di ritrovarmi a scavare ghiaccio tra i pinguini. Si trattava di raggiungere l’Antartide a bordo di una rompighiaccio per eseguire ricerche scientifiche e cartografiche del territorio. Il programma prevedeva anche la possibilità di raggiungere la vetta più elevata di quel continente, il Vinson, per eseguire carotaggi esplorativi. Il direttore mi mostrò alcune foto scattate nelle precedenti spedizioni che mostravano un curioso mondo primordiale che sembrava avere ben poca considerazione della parola “uomo”. Certo, le maestose immagini che vidi erano splendide, ma risvegliavano nel mio animo una paura ancestrale che non riuscii a definire nella sua completezza. Perchè una cosa è guardare delle belle foto standosene seduti su una comoda poltrona, un’altra è trovarsi al posto del fotografo in condizioni estreme. Mi fu chiaro fin dall’inizio che il mio interlocutore intendeva dissuadermi dal partire. Avrebbe significato restarsene per sei mesi lontano da tutto e tutti, dal mondo civile e dalle sue comodità, dalla sua gente, dalla sua banalità. La sua voce aveva un tono di sfida, come di chi è sicuro di poter scoraggiare senza fatica l’incauto di turno che volesse affrontare un viaggio del genere. Ma non aveva fatto i conti con il mio orgoglio che mi spinse ad oppormi fermamente ai suoi propositi. Il mio interlocutore mi soppesò per lunghi minuti prima di rispondere, accompagnando le sue parole ad un insolente gesto della mano. Poi, un po’ seccato dalla mia ostinazione a voler partire, mi porse un foglio pieno di richieste di idoneità fisica e mentale. Nel farlo mi spiegò che niente poteva essere lasciato al caso ed ai candidati si richiedeva un’eccellente capacità di autocontrollo in situazioni estreme, l’insensibilità al senso di vuoto tipico degli spazi aperti, una buona dose di inventiva e l’apertura mentale sufficiente a non perdersi d’animo neanche nei frangenti più rischiosi. Oltre a ciò servivano buone cognizioni in chimica, biologia ed una mezza dozzina di altre discipline. Stavo già pensando di fare dietrofront quando il Grande Capo pronunciò una frase che non mi piacque affatto: “Sei sicuro di potercela fare?”
Fu il suo tono sardonico e beffardo, più di qualsiasi altra cosa, a farmi convincere definitivamente. Lo guardai con un sorriso studiatamente asettico rispondendo in un soffio, con il cuore in tumulto, un “naturalmente!” appena intelligibile. L’altro mi squadrò attentamente per alcuni minuti poi finalmente si arrese dicendomi che mi avrebbe fatto sapere al più presto la sua decisione. Biascicai un grazie amorfo ed uscii dal suo ufficio dissimulando una curiosa sensazione di euforia mista a paura. A dire la verità non credevo affatto di poter essere selezionato per partire, ma ero almeno sollevato all’idea di tentare. Di certo, avrei dovuto convincere un bel po’ di gente delle mie potenzialità. Per i mesi che seguirono a quell’incontro trascorsi gran parte del mio tempo presso le biblioteche ed i laboratori del dipartimento di Chimica della mia università. Spesso chiacchieravo con vari docenti di tutte le incognite che avrei potuto incontrare nella terra dei ghiacci eterni, se fossi partito. Poco a poco, acquisii una consapevolezza nuova che dissipò la paura che fino ad allora avevo sempre provato all’idea di trovarmi in quelle terre ancestrali sostituendola con una illogica voglia di capire quali fossero i miei limiti. Allora come adesso, ero consapevole che è propria dell’animo umano la tendenza a scrutare nel profondo per capire come funzionano le cose e dissolvere l’oscurità della sua stessa ignoranza. Se non avessi dato seguito alla mia decisione non avrei perso ma neanche acquistato nulla perché la strada alle mie spalle già la conoscevo e non mi piaceva. Era fatta di superficialità ed egoismo, una strada dove non avevo più alcuna ragione di vivere. E quando, dopo molti tentativi, esami superati, richieste e una marea di scartoffie burocratiche fui finalmente informato dell’accettazione della mia domanda non provai più paura, ma un brivido di eccitazione. Nei miei sogni anelavo alla seduzione del vento antartico per avvertirne le gelide carezze che avrebbero dato nuova vita al mio cuore assopito. E quella vasta massa di ghiaccio, dove tutto è immoto da milioni di anni, cominciò ad esercitare un richiamo ipnotico sul mio animo che mi avrebbe portato in una nuova dimensione dell’essere. Davanti a me si stendeva la visione composta dall’estrema soglia di ghiaccio che avrebbe forse potuto dissipare quelle paure che provavo da tanto, troppo tempo.
Massimo Valentini
Buongiorno! Ho letto questo splendido romanzo e vorrei farle i complimenti, signor Valentini, perchè non ha niente da invidiare a scrittori ben più distribuiti del suo bellissimo romanzo (come ha scritto benissimo nell'altro post!). Io leggo molto in media uno o due libri a settimana, ed ho scoperto per caso il suo romanzo qui a Cosenza, in libreria. Davvero splendido. Davvero sublime. Complimenti! Mi ha fatto piangere di commozione.
RispondiEliminaCara amica, anche se non ti conosco c'è qualcosa che ci unisce...l'emozione che questo splendido romanzo ha suscitato in noi. Ho un consiglio per te che spero tu accetterai...
RispondiEliminaLeggi anche "Alfa e Omega" è altrettanto intenso e per un'attenta e sensibile lettrice come te è l'ideale...
Non lo troverai facilmente come "Ultima Thule"...
quindi se ti va, recati alla libreria Domuns di Via Montesanto a Cosenza o contatta la casa editrice Falco. Non ti pentirai. Per me sono stati gli undici euro spesi meglio.
Veronica
Che dire se non che tutto il romanzo, come ben sanno i lettori, è uguale a questo primo capitolo, cioè magistrale dalla prima all’ultima parola? Lo ripeto ancora una volta: volete conoscere VERAMENTE la nostra lingua, e vedere qual è il miglior modo di riportarla sulla carta? Allora comprate Ultima Thule e studiatelo come studiereste un manuale di letteratura!
RispondiElimina... Quanto mi ha emozionata questo romanzo... Mi sono talmente calata nella vicenda che mi sembrava di essere lì, di vedere davvero ciò che vi era descritto e di provare ciò che provava il protagonista... Impossibile descrivere con precisione le sensazioni, bisogna leggere queste opere per capire la loro bellezza e la loro profondità... Grazie sig. Valentini.
RispondiEliminaPaola