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sabato 29 ottobre 2011

Il caso editoriale



Bentornati! Oggi parleremo dei casi editoriali, quelle evanescenti etichette che spesso sono caratteristiche di vari libri del momento e che appaiono sinonimo di qualità letteraria più di ogni altra cosa. Tra le vostre recenti osservazioni alcuni di voi mi hanno chiesto cosa ne penso di queste cose, se i vari "casi" sono realistici avanzando anche qualche titolo e qualche nome. No, ragazzi, non posso pubblicare i titoli che mi avete accennato per ovvie ragioni, posso però darvi qualche indizio e, con la scusa, illustrarvi anche il mio pensiero. Raramente un caso editoriale è sinonimo di qualità di un libro. Più spesso di quanto si creda è vero il contrario. Abbiamo già visto che il best seller identifica un libro a vastissima diffusione ma se questo sia o meno di qualità è tutta un’altra faccenda. Best Seller e Caso Editoriale, però, sono definizioni che vanno a braccetto ed è bene illustrare cosa si intenda con  tali definizioni. Un tempo un qualsiasi romanzo di successo di Verne poteva essere visto come il libro-rivelazione ma oggi più che un vero Libro il best seller, o caso editoriale, è un bene di consumo come le arance cresciute con pesticidi e i polli allevati ad antibiotici. E qui si apre la solita  discussione su cosa sia grande narrativa e cosa un semplice bene di consumo. Qual è la linea di confine? Inutile chiedere a chi si nutre solo di best seller e poco altro e neanche chiedere ai critici. Molta parte della cosiddetta “fascia alta intellettuale”, almeno qui da noi, sembra preoccupata più dalla propria immagine pubblica che dal valore della vera narrativa.

Il coniglietto Ciuffolo ama solo i bei romanzi, non certo i libri da spiaggia!

Di certo sappiamo che proprio perché beni di consumo, i best seller sono progettati a tavolino da esperti di marketing, anche se sulla base di una buona idea di un autore. La fase successiva è il lavoro di tanti ghost writers e infine, quando il prodotto è pronto, ne viene fatta un’asta planetaria per la vendita dei diritti. Essendo uno scrittore e non uno specialista del marketing, non conosco tutti i casi del genere ma ne conosco comunque alcuni, che però sono letteralmente sotto gli occhi di tutti, e che NON vi rivelerò. Si tratta di libri scritti da sconosciuti gost writers ma con il nome dell’Autore di grido, che magari fa anche il figo in tv vantandosi che il proprio libro ha venduto tot milioni di copie…. Pur sapendo che il libro che porta il suo nome è stato scritto da un altro o quanto meno la sua versione era assolutamente deprecabile, necessitando quindi di una vera e propria ricomposizione. Ad ogni modo, dato che il progetto, sotto il profilo marketing è ben fatto ecco che il costo dei diritti sale a cifre a sei zeri. Ed ecco perché quando si parla di libri arci noti non conta la qualità oggettiva. Primo perché sono prodotti di consumo progettati a tavolino, non importa se di autori esordienti o meno, secondo perché il più delle volte neanche li hanno scritti loro. Dal punto di vista dell’azienda, quando si spendono cifre da capogiro per i diritti si deve fare una sola cosa: vendere centinaia di migliaia di copie, altrimenti si fallisce. Come si vende? Recensendolo in tv in prima serata o comunque su trasmissioni specializzate in propaganda libraria, facendolo recensire sui principali quotidiani etc. etc. Si tratta di una “normale” campagna di vendita come il marketing sul farmaco per le rughe pubblicizzato da spot dove si vedono spesso eccitanti (e inesistenti) sexy dottoresse che reclamizzano quella marca di prodotto, quell’assorbente, quel dentifricio, quella schiuma da barba: no difference. Va detto anche che l’alto costo delle recensioni televisive è un potente strumento per diffondere il finto verbo della pseudo narrativa nelle case, perché se un personaggio di grido partecipa a una trasmissione tv chiede gli eurozzi, ma se il responsabile presenta il suo libro ci va gratis. Il risultato di questo andazzo è che di risorse economiche e spazio sulle librerie per altri Autori, che magari tentano di scrivere bene, non ce n’è più. E guardate che fatti i debiti raffronti, anche i titoli di tantissime major hanno i giorni contati (generalmente non più di sei mesi se il libro cessa di vendere). Per quanto mi riguarda io sono uno scrittore poco noto perché la mia casa Editrice è piccolina e fa quel che può per la diffusione dei miei e dei libri di altri Autori, eppure son fortunato lo stesso: ho pubblicato cinque libri di cui ben quattro sono antologie di racconti. Di norma, in Italia, i racconti non hanno mercato (altra cosa becera e per la quale la Repubblica delle Banane è sola soletta a livello mondiale). Non solo: non ho mai pagato per pubblicare e posso anche rifiutare i contratti che considero svantaggiosi come ho fatto di recente rischiando così che il testo resti inedito a vita. (tranquilli, al momento “Primus” è in valutazione altrove!) Ma quanti ce ne sono là fuori che non sono neppure pubblicati per colpa della non-narrativa e di un sistema ipocrita quale quello moderno? Conosciamo tutti il teorema economico che recita come la cattiva moneta scaccia quella buona, ma questo vale anche per l’arte narrativa, cinematografica, ecc. La non-narrativa, la non-cinematografia scaccia quella buona e il gusto del pubblico si adegua al livello più basso perché manca delle competenze tecniche, artistiche, stilistiche per distinguere la qualità dal trash. La sola cosa che possiamo fare è di non comprare mai, a prescindere, quel libro presentato in tv in una trasmissione specializzata sui libri, a costo di sbagliare, ma scegliere i nostri libri seguendo maggiormente Case Editrici di medio/piccolo livello (per diminuire i rischi di trovare libri scadenti) o titoli di Autori classici o già da tempo osannati dalla Critica internazionale piuttosto che da certa pseudo critica nostrana. Solo in questo modo potremo difendere la nostra libertà di pensiero da una società che troppi definiscono no global quando invece ha globalizzato anche i cervelli. Un esempio pratico. Tanto per restare in tema di alcuni vostri commenti, il libretto di finte memorie erotiche della ragazzina zoccola potrei anche trovarlo divertente se è scritto bene. Ma un romanzo che pretenda di essere filosofico, caratterizzato da concetti intelligenti, se è scritto con i piedi o palesemente plagiato da altri e più meritevoli Autori è da disprezzare.



Un caso editoriale non è sempre nuovo come appare...


E non importa se è anche un best seller: sempre trash è. Anzi è anche più disgustosa perché è una vera e propria truffa verso il lettore. Pretende cioè di spacciare riflessioni valide quando invece è solo un’accozzaglia di luoghi comuni, magari divulgato ad hoc da certa stampa compiacente che non fa altro che distribuire comunicati stampa presentati come recensioni. Ma se uno scrittore è anche un vero romanziere allora il suo stile è reso efficace da almeno 2000 anni di retorica. Se scrive porcate è un imbecille e come tale dimenticabile. Per capire questo concetto non serve essere critici d’alta scuola, ma essere amanti dei libri, tanti, tanti, tanti libri di qualità. Se invece leggerà le solite puttanate che vanno di moda e poco altro non avrà gli strumenti per capire né la narrativa degli ultimi secoli né il concetto di libertà di espressione che consente ai più grandi di scrivere “Un giorno di Ordinaria follia” dove sesso e perversioni abbondano, o “Labirinto di Morte” dove praticamente esiste un’ode all’uso di LSD, o “Solaris” dove lo Scrittore Vero, una razza rara e non certo comune come sbandierata da questo o quello scranno di sedicenti letterati, discute con se stesso e il suo pubblico di cosa è l’essere umano. Questa è la vera Arte capace di essere autentica e sana al di là di mode, discussioncelle televisive moralistiche e libretti vincitori di premi discussi a tavolino. Perché il vero romanzo, la vera arte scritta, è opera di pochi che scrivono per molti. E proprio l’Arte è la sola espressione creativa umana che vanta un candore innato anche se parla di merda, sangue e paranoie viste come metafore della vita.


Massimo Valentini



venerdì 7 ottobre 2011

"1984", recensione




Oggi, amici miei, voglio parlarvi di un classico della Fantascienza negativista utopica di tutti i tempi che non solo ha anticipato i tempi ma preserva intatta la propria potenza espressiva a distanza di 60 anni dalla sua pubblicazione. “Nineteen Eighty-Four”, meglio noto come “1984”, scritta nel 1948 da quel folle visionario che era George Orwell e pubblicato l’anno successivo. Un romanzo che già allora poteva tranquillamente essere definito beffardo, cinico e provocatorio quanto bastava per instillare nella mente del lettore la sottile consapevolezza che l’idea centrale non fosse affatto proiettata nel futuro alla luce del fatto che il titolo del romanzo deriva dalla traslitterazione numerica dell’anno effettivo di composizione, 1948, grazie all’inversione delle ultime due cifre. Come sapete gli autentici scrittori di Fantascienza sono visionari disincantati della società a loro contemporanea e spesso hanno anticipato i tempi. Verne, per esempio, fu il primo a inventare il concetto di una nave subacquea dall’autonomia pressoché illimitata precorrendo quello del sottomarino a propulsione nucleare.  Con il suo romanzo “Cyborg”, Caidin ha inventato invece il concetto di organismo cibernetico ben prima dei vari James Cameron, mentre Asimov ha scritto le famose Leggi della Robotica (tre più una, la quasi mai discussa “legge zero”). Dal canto suo Orwell ha inventato il Grande Fratello. “1984” è un’opera che funzionava e funziona come uno specchio dell’animo umano reo di lasciarsi sedurre dalla velenosa dolcezza del potere che non risparmia nessuno, vittima o carnefice, obnubilandone la mente e rendendolo una marionetta.  


Trama:

Il futuro preconizzato da questo libro vede un mondo diviso in tre zone, Oceania, Eurasia ed Estasia, che usano la guerra per controllare in modo assolutistico la società. Londra, capitale dell’Oceania, è fondata sul socialismo inglese (socing) e governata da partito del Grande Fratello, un uomo che nessuno ha mai visto e che usa la propria influenza per controllare la mente dei cittadini. (I tratti del misterioso dittatore, non a caso, richiamano quelli di Stalin e Hitler).



Il Grande Fratello

60 anni prima dell’invenzione dei vari reality show, Orwell inventò telecamere di controllo sparse ovunque e manifesti di propaganda che recitano lo slogan del Grande Fratello del romanzo: “la guerra è pace”, “l’ignoranza è un bene”, “la libertà è essere schiavi”. Il protagonista è Winston Smith, un colletto bianco del partito il cui solo lavoro è la falsificazione della Storia in modo tale da rendere veritiere le previsioni fatte dal partito stesso e di conseguenza fomentare la fiducia della gente verso l’infallibilità del Grande Fratello. Winston è innamorato di Julia e amico di O’Brien, un funzionario di alto livello. L'amore che nutre verso Julia è in contrasto con la legge che prevede l’uso del sesso solo a fini di riproduzione; proprio questa è la molla che convincerà i due a contattare un’organizzazione segreta, la “Confraternita”, cosa che farà scattare O’Brien che svela il suo vero ruolo di funzionario della psicopolizia governata dal Minamor (il Ministero dell’Amore, la cui funzione è seviziare i dissidenti). O’Brien decide così di insegnare al suo ex amico la tecnica del Bipensiero attraverso le tre fasi dell’apprendimento, della comprensione e dell’accettazione. La prima fase è far sperimentare alla vittima un dolore crescente in modo che il condannato accetti una realtà che non considera giusta. Winston riesce a tollerare questa prova,ma è nella seconda che ha la rivelazione: egli è “l’ultimo uomo in Europa”, cioè l’ultimo guardiano dello spirito umano. La terza fase è incentrata sulla materializzazione dell’incubo peggiore di ogni povero disgraziato che varchi la soglia della “Stanza 101” e farà capitolareil protagonista che griderà di fare anche a Julia ciò che è stato fatto a lui.



George Orwell
Questa è l’apoteosi del romanzo e tratteggia il protagonista, un essere umano, non l’eroe tutto muscoli un po’ patetico di certa narrativa da quattro soldi, che perde la propria umanità perchè sconfitto dal Sistema. Lo scopo del libro è evidente: insegnare al lettore che una società controllata da un Grande Fratello non vuole solo possedere il corpo della gente ma, simile alla più bieca forma di prostituzione intellettuale possibile, desidera possederne lo spirito. Messaggio che diverrà più evidente quando si scoprirà che la stessa Confraternita è solo un’esca fondato ad hoc dalla Psicopolizia per individuare potenziali dissidenti. Sconfitto, Winston rinuncia all’amore per Julia e al libero pensiero, ormai pronto a consegnarsi nelle mani del boia perché persuaso di essere solo una povera e patetica pecora nera.


Recensione

Non è mia intenzione sciorinare pregi e difetti di un’opera che considero una delle massime pietre miliari della Fantascienza di tutti i tempi. Certo, neanche “1984” è un romanzo tecnicamente perfetto (vedi la caratterizzazione a tratti un tantino sbiadita di O’Brien che non sempre è precisa, o alcune scene troppo frettolose) ma questo non vuol dire che la sua qualità è scadente. Qui, più che la tecnica conta il messaggio e Orwell sa bene cosa dire e lo fa con un’espressione assolutamente perfetta. Questo romanzo vede la figura assolutistica del partito come l’assenza di qualsiasi libertà di tutti gli individui, anche dei carcerieri che non possono disobbedire se non vogliono subire le stesse conseguenze dei cittadini comuni. Non esiste una violenza apparente, non esiste una vera e propria guerra civile o in corso. La guerra del Tiranno è più sottile, dolcificata dal veleno della carezza mediatica e i suoi strumenti sono solo uno: il lavaggio del cervello. Ricordate le frasi che nel romanzo campeggiano sui manifesti del Grande Fratello?


1)    “la guerra è pace”
2)   “l’ignoranza è un bene”
3)   “la libertà è essere schiavi”


Esaminiamole una per una. “La guerra è pace” è un messaggio che solo in apparenza riguarda la guerra vista come necessaria non per biechi tentativi di predominio imperialista, ma per migliorare il potere stesso. La guerra è usata per i propri comodi e questo vale per chiunque non rispetti i più fondamentali dei diritti umani, per chi quei diritti li usa come specchio per le allodole o per chi li usa, con tanto di finte lacrimucce di circostanza, per accontentare le proprie esigenze mediatiche. “L’ignoranza è un bene”. Questa è un’idea che anche Ray Bradbury, grazie a quel capolavoro che è "F 451”, ha denunciato in tempi non sospetti, gli anni ’50. L’ignoranza vista come negazione della possibilità/diritto di ciascuno di confermare o porre in discussione le idee di chi comanda e quindi la negazione del pensiero libero del cittadino che anche in “F 451” era negato grazie all’appropriato uso dei mezzi mediatici programmati per diffondere non il sapere, e quindi la possibilità di pensare, essere d’accordo o dissentire, ma il Trash. Perché persuadere la gente dell’utilità del Sapere? Meglio mostrare solo cose frivole che non fanno pensare, cose stupide che fanno assopire, cose morbose che solleticano il voyeur che fa parte di ciascuno di noi. Perché non dargli una bella caramella solleticando i suoi istinti primari, vale a dire sesso e violenza, in modo tale da programmarne la debole mente per fare pensare che tutto sommato vive nel migliore dei mondi possibili? “La libertà è essere schiavi”: schiavi di desideri fasulli sussurrati dai media con, beffa tra le beffe, anche l’avvertenza che si tratta solo di messaggi pubblicitari. Schiavi del Sistema che toglie ogni libertà e che dal pubblico, paradossalmente, è ringraziato per questo. Ma ciò che davvero spaventa di questo romanzo è la Folla.



"1984", un fotogramma del film
Milioni di individui omologati, globalizzati, che non accettano di pensare davvero perché troppo faticoso, istigati a comando a scatenare le proprie angosce esistenziali sul capro nero del momento. E non c’è ribellione perché ciò che importa è sapere cosa ha fatto la tua squadra del cuore, cosa ha rubato il tuo vicino, come puoi rubare tu stesso fregando l’antipatico collega di lavoro. E così si perdono quelle capacità elementari, Sapere, Coscienza, Rispetto Reciproco, che sono poi gli elementi basilari di qualsiasi società che si possa definire civile. Attenzione, però. Con il termine “Sapere” non identifico solo le grandi scoperte dell’umanità ma quei concetti più ovvi, cui spesso non facciamo caso, quali lo stesso uso della lingua. Cosa ne pensate dell’uso della “k” per comunicare? E della perdita del congiuntivo in televisione? La relazione tra linguaggio e capacità critica è importantissima per costruire una propria identità di pensiero. E’ arduo rendere leggibile un trattato politico perché questo, prima che un romanzo, è “1984”. Un trattato con la forma soltanto di un romanzo, ma che in realtà è un vero manifesto di quel curioso sentimento che prova chi si ritrova a vivere in un mondo falso e ipocrita, stillante miele velenoso che annebbia i sensi, inganna il cuore e distrugge l’anima. Orwell ci dice di stare attenti non solo a chi diamo la nostra fiducia in cambio di belle parole, ma anche dei nostri vicini, dei nostri amici (vedi la figura di O’Brien) perché tutti possono essere corrotti dal Sistema. Questo è il mondo tratteggiato da  “1984”: un mondo dove non esiste nessuna opposizione credibile e quindi nessuno cui dare la nostra fiducia. Un mondo che calpesta i diritti dell’uomo e li plasma per fare pillole da far inghiottire agli individui con le buone o con le cattive, sussurrandogli che sono le pillole dei sogni belli mentre in realtà sono le pillole dei loro incubi più terrificanti.


Massimo Valentini 



lunedì 3 ottobre 2011

"La spada della verità", recensione serie televisiva



Salve ragazzi! Vi sono molto grato delle vostre dimostrazioni di affetto nei miei confronti relative alla scelta di rifiutare un contratto di pubblicazione per cause "tecniche" e della mia conseguente decisione di attendere proposte di pubblicazione per "Primus" più in linea con i miei desiderata. Sono molto contento della vostra amicizia ed è superfluo dire che non vi deluderò! Vi assicuro, quindi, che non mancherò di riferirvi nuove sul romanzo stesso...

Cambiando argomento, per questo post vi presento la recensione di un mio caro amico, Ivan Croce, anche lui scrittore emergente. Tempo fa mi descrisse un telefilm Fantasy di discreto successo tratto dalla saga Legend of the Sekeer di Terry Goodkind. Ho giudicato deliziosa quella recensione e ho pensato di proporla anche a voi. Non dimenticate di dire la vostra, ovviamente... Ma adesso bando alle ciance ed ecco a voi:


La spada della verità

"Buongiorno a tutti i lettori di Gabbiani delle Stelle e un super grazie a Massimo Valentini per ospitare questa mia recensione; sono onorato dello spazio che più volte mi è stato concesso su questo sito. Vorrei ciarlare un po’ del telefilm La Spada della Verità (titolo originale Legend of the Seeker) trasmesso in estate su Raidue e tratto dall’omonima saga dello scrittore statunitense Terry Goodkind. Le ricette destinate per i poco sofisticati palati di una vasta platea necessitano di ingredienti ultraclassici, ed ecco servito il tipico mondo immaginario diviso in zone in cui si pratica molta magia ed altre in cui se ne pratica poca, una pacifica nazione all’ovest e un crudele impero con manie di conquista ubicato a est (se questo vi ricorda la Terra di Mezzo tolkieniana è senza dubbio un puro caso); abbiamo poi il tipico Ragazzo Predestinato, in questo caso tale Richard Cypher (nome originalissimo) interpretato dall’attore australiano Craig Horner, belloccio di turno che non esita a esibirsi spesso a torso nudo per la gioia delle fanciulle, ma dotato anche di discreta abilità recitativa.

copertina de La spada della verità
Richard di mestiere fa la guida forestale e ignaro del destino che lo attende trascorre le sue pacifiche giornate nei boschi attorno al paesello natìo, tra una battuta dei sentieri e una conta delle cacche di cervo, finché un bel giorno, in virtù di accadimenti vari come ovviamente violenza e colpi di scena, scopre di essere nientemeno che il Cercatore, ovvero colui che ha diritto a possedere la celeberrima Spada della Verità. È, questa, una spada che mostra sempre la verità a colui che la impugna, e si tratta in effetti di un discreto artificio narrativo da parte di Goodkind, anche se non è certo una novità e personalmente credo che l’idea di base sia sfruttata assai meglio nella trilogia Queste Oscure Materie di Philip Pullman, dove Lyra, la ragazzina protagonista, usa uno strumento chiamato “aletiometro”, che se letto nel giusto modo rivela sempre informazioni veritiere. La spada però, bisogna ammetterlo, ha il grande vantaggio di poter essere usata, all’occorrenza, anche nel modo tradizionale, ossia per affettare i nemici, che nella fattispecie si manifestano come le armate del perfido imperatore Darken Rahl. Ma niente paura, perché il buon Richard viene aiutato da Zed (diminutivo di Zeddicus Zu’l Zorander, mica bruscolini) il più classico dei maghi solitari ed eclettici, interpretato dall’attore Bruce Spence, e soprattutto dalla bella Kahlan Amnell, che attenzione, è una Depositaria, ovvero una donna dotata del seguente potere: se ti tocca anche solo una volta usando il suo charme, tu sarai in suo potere ed eseguirai ciecamente ogni suo ordine (lo so, i lettori maschietti penseranno: e dov’è la magia? Me lo ha fatto anche la mia compagna!). Ovviamente tra Richard e Kahlan sboccia un romantico amore, ma, ahimè, i due non possono consolidare la loro unione perché, proprio come Edward e Bella di Twilight, non possono avere rapporti sessuali sennò a Kahlan, durante il rapimento dell’amplesso, sfugge di mano il suo potere e rincoglionisce totalmente il malcapitato Richard. Mi domando come sarebbe il genere Fantasy se tutti gli autori ragionassero così; immaginate il già sfigato Harry Potter, che con un’eventuale fidanzatina potrebbe solo giocarci a Quidditch, sennò a letto gli scappa un incantesimo e trasforma la partner in un orango; e pensiamo al povero Superman: sarebbe condannato a una vita di superpippe giacché, con la sua forza, come minimo spaccherebbe in due la sventurata Lois Lane... Mah. È un espediente nella creazione di un plot che francamente non capisco. Ma torniamo al telefilm, e consideriamo le differenze rispetto al romanzo da cui è tratto; la versione per lo schermo è infatti fortemente edulcorata in confronto al libro, che l’autore ha provveduto a farcire ben bene con scene di ragguardevole crudezza e vera e propria perversione. Ho letto solo il primo della decina di romanzi che compongono la sega saga, di Goodkind, ma così su due piedi mi torna in mente una delle scene del libro, che vede la povera Kahlan cadere preda di alcuni scagnozzi di Darken Rahl, contro i quali non può usare il suo potere di


Kahlan
Depositaria in quanto l’imperatore stesso ha provvisto i guerrieri di un contro-incantesimo: naturalmente il capo dei cattivoni non spreca l’occasione di tentare di stuprarla e i vari palpeggiamenti vengono descritti con grande dovizia di dettagli. Ma Kahlan non è mica scema, e con un geniale trucco psicologico tenta di fuorviare l’aggressore sfidandolo a sodomizzarla invece di stuprarla, per fargli rammentare le violenze che il tizio subiva da ragazzino (tiè). Tranquilli comunque, la virtù della nostra eroina alfine si salva (e per fortuna il geniale trucco non le riesce), perché proprio in quel momento le tornano miracolosamente i poteri (un po’ come Rocky quando lo credi spompato e invece zac si riprende) e toccando il nemico lo ha alla sua mercè. Allora la dolce Kahlan gli ordina di stare fermo e di calarsi le braghe, dopodiché con un coltello lo evira e lo costringe a ingoiare il risultato dell’improvvisata operazione chirurgica. E questo non è ancora il peggio, perché il lettore di Goodkind ha modo di fare la conoscenza delle Mord-Sith (Tolkien si rivolterà nella tomba per come vengono usate le parole basate sulle antiche lingue nordiche) che sono una sorta di torturatrici professioniste al servizio di Darken il Rallo, caratterizzate da un’aderente divisa di pelle, una forte tendenza alla crudeltà, e una grande passione per l’uso dell’Agiel, cioè una sorta di bacchetta magica per sadici, che come unico incantesimo provoca un insopportabile dolore qualora venga in contatto con un corpo umano. Ma mentre nel telefilm tale strumento viene usato occasionalmente su personaggi vari (appesi come salami in apposite camere di tortura), nel libro Richard ne subisce i tormenti non per una o due, ma per decine e decine di pagine e con accenni piuttosto espliciti ad abusi sessuali. Con tutto ciò non voglio sostenere che non si tratti di un discreto romanzo, a Goodkind si riconosce dopotutto un buon ritmo narrativo, uno svolgersi della trama e un ritratto dei personaggi in grado di catturare l’interesse del lettore; solo, personalmente non penso fosse il tipo di Fantasy da cui trarre un telefilm “di successo”. Anche perché se la crudezza è stata in parte eliminata dalla versione per lo schermo, le banalità sono state invece moltiplicate. Prendiamo Darken Rahl: nel libro è un antagonista di tutto rispetto, ha un’autentica aura di malvagità, frega in tutti i modi il suo popolo con false promesse, viaggia su mezzi pagati dai cittadini, fa il bunga bunga con belle figliole, insomma tutto ciò che farebbe un realistico tiranno; nel telefilm lo vediamo al massimo menare pugni ai suoi scagnozzi e spezzare colli a tutto spiano (a uomini, donne e perfino gattini) manco fosse il più rozzo dei gangster di quartiere. Le scene di battaglia, poi, rasentano a tratti il ridicolo e gli effetti speciali sono ridotti all’osso. Non capita mai di vedere più di venti soldati nemici tutti insieme, e pensare che il nostro Darken il Rallo, per poter dominare il mondo, ha un assoluto bisogno di trovare e mettere insieme le parti perdute di un oggetto magico chiamato Orden, che dovrà contendere a Richard il Cercatore. Ora io dico: quando Sauron vuole l’Anello manda un milione di orchi ad assediare la città di Minas Tirith, quando l’Imperatore di Guerre Stellari vuole annientare i Jedi manda Darth Vader e la Morte Nera, e invece Darken Rahl che fa? Manda tutt’al più una dozzina di soldati, e poi si lamenta che lo sconfiggono. Soldati che, peraltro, vengono battuti con una facilità imbarazzante, forse perché i cattivi, lo si sa, sono sempre combattenti mediocri, o forse perché i protagonisti, pure lo si sa, sono sempre invincibili. Così vediamo Richard il Cercatore (che, lo ricordo, non è uno guerriero di professione) sterminare nemici con una destrezza da far sembrare Conan un minchione, e Kahlan tener testa a due spadaccini per volta armata soltanto di un paio di pugnali, sebbene la fanciulla sia dotata di una conoscenza delle arti marziali da fare invidia a Jackie Chan. In alcune puntate la si vede stendere uomini grandi il doppio di lei e con l’elmo in testa con un solo calcio alla mascella, una cosa che, non per entrare nel vortice delle battute pacchiane su Chuck Norris, non riuscirebbe neanche al famoso Texas Ranger. Ma forte del fatto che un accattivante personaggio femminile tira più di un carro di buoi (mi pare si dica così) il regista aiuta il pubblico, soprattutto quello maschile, a metabolizzare tanta banalità assegnando il ruolo di Kahlan alla brava attrice Bridget Regan, dagli occhi magnetici quanto il decolleté. E pensare che alcuni grandi autori, come ad esempio H.P. Lovecraft, riuscivano a creare storie straordinarie senza farcirle di ba alità e sesso."

Ivan Croce

sabato 1 ottobre 2011

Una questione di scelta



Questo è un annuncio un po' triste ma è giusto che io renda partecipi i miei lettori di ogni novità, positiva o negativa, che riguardi la mia produzione letteraria. Visto che mi seguite da un bel po' di tempo (il blog fu creato poco meno di tre anni fa) desidero convidere con voi ogni cosa. La novità riguarda il mio romanzo "L'uomo che sognava di vivere" di cui, come sapete, una Casa Editrice del milanese mi aveva avanzato un'offerta di pubblicazione. Purtroppo non posso farne il nome: dovete sapere che in ogni contratto di edizione che si rispetti esiste un punto che vieta al'autore di divulgare qualsiasi informazioni sensibile. La stessa cosa vale anche per quanto riguarda le mail di servizio scambiate tra Editore e Autore. Ignoro se si possa o meno fare con i nomi ma, come detto, mi considero una persona rispettosa delle regole, per cui preferisco evitarlo. I motivi che però mi hanno convinto a declinare il contratto riguarda alcuni punti che, a mio modesto parere, erano troppo vincolanti per la mia carriera di scrittore. Per cui ho provveduto a ringraziare il direttore editoriale della sua gentilezza, ma non ho impegnato il romanzo che resta dunque mio e assolutamente inedito. "Primus" torna in pista e al momento attendo risposte in un arco di tempo che va da due a sette mesi. Ovviamente è stata mia cura selezionare realtà editoriali di un certo livello, in modo tale da assicurare al romanzo le migliori possibilità di pubblicazione e diffusione possibili. Per favore, vi chiedo di non fare troppe domande  nei confronti del contratto che ho rifiutato. Posso capire la vostra curiosità e il vostro affetto, ma si tratta di una questione di serietà da parte mia. Un saluto a tutti voi e... continuate a seguire "Gabbiani delle Stelle".

PS: questo è un post di servzio. Il prossimo post è programmato a breve.



Massimo Valentini